Millenovecentoottantanove, quasi 1990. Pictures of You. No, non è la data di inaugurazione di questa omonima webbettola; sono vecio, ma non così vecchio nella blogosfera. The Cure pubblicano in Disintegration, il loro ottavo album, questa canzone, che è – insieme a Just like Heaven – la mia canzone preferita del mio gruppo preferito. Sia sempre lode al mio amico Riccardo per avermi fatto conoscere e amare la loro musica.
Se Lullaby si ispira a un personale vissuto, particolarmente cupo e ansiogeno, di Robert Smith, Pictures of You ha una genesi – se possibile – ancora più confusa e confondente. È lo stesso Smith a dare spiegazioni differenti.
Gli artisti dovrebbero evitare di spiegare le proprie opere, in particolare i cantanti. Ognuno dovrebbe essere libero di crearsi il proprio immaginario. Come quando si legge un libro e ne fanno poi un film: si rimane sempre delusi, in parte o in toto, perché il film distrugge il nostro immaginario, che per quanto afflitto da un persistente effetto “blur”, si adatta perfettamente a noi come il vestito cucitoci addosso da un sarto, punture di spilli incluse.
“Per dovere di cronaca” riporto di seguito le spiegazioni.
Robert Smith dichiara che dopo avere letto un saggio di Myra Poleo, The Dark Power of Ritual Pictures , ha distrutto un buon numero di vecchie foto e video personali per disfarsi del suo passato. Ha ammesso anche di essersi amaramente di questo insano atto qualche giorno dopo. Il disclaimer “Don’t Try This at Home“ qui ci sta davvero bene.
Altra ipotesi è quella riportata da Wikipedia, in cui Smith in alcune interviste ha dichiarato che questa canzone trae ispirazione dopo un incendio scoppiato nella sua casa: tra i resti della casa, trovò il proprio portafogli che conteneva delle foto di sua moglie, Mary. La copertina del singolo ritrae una di queste fotografie.
La mia “versione” è un’altra , però.
Io m’immagino lì, in una giornata di pioggia, piove da ore e sembra non volere smettere mai, uscire non se ne parla né te ne viene voglia. La tempia appoggiata al vetro della finestra, freddo, tutto imperlato di gocce; il corpo a ricasco, come il sacco della spazzatura appoggiato lì allo stipite della porta in attesa di essere buttato; sguardo verso l’esterno, fisso in un punto che tende a raggiungere il confine estremo dell’orizzonte, ma si perde nel grigiume delle nuvole.
Per terra, alle spalle, foto tutte sparse alla rinfusa, un tappeto di foto.
E inizia la canzone, dum dudumdum, entrano il basso e le percussioni insieme, prendono a battere il tempo della pioggia incessante, dopo qualche battuta si unisce una chitarra il cui arpeggio si mette a inseguire le singole gocce di pioggia, fino a fondersi in un tuttUno con il loro precipitare confuso e senza alcuna direzione.
Un forte senso di Perdita, il buco nero della Mancanza, quando, sulle battute finali, verso il volgere alla fine di tutta questa struggevolenza ( =volontà autolesiva di struggersi), inaspettatamente, vengo investito da una pioggia di…campanelli!
<campanelli><campanelli><campanelli> A questo punto la melodia si apre e vibra come l’emozione di quando vedi la persona che ami. Farfalle nello stomaco. Liberatoria e tripudiante, in contrasto con quanto finora ascoltato: cessa quell’annaspare spasmodico di chi cerca disperatamente una soluzione che non c’è o che non ci può essere più; quell’annaspare cessa di essere scandito da quel ritmo cadenzato, cessa di imbibire quella melodia di toni cupi come la pioggia evoca in certe giornate. Lascia solo una scia di un ricordo di una foto sbiadita.
Questo passaggio è uno dei più belli in assoluto di tutte le canzoni dei The Cure: voce, musica e testo si fondono in un tuttUNO, perfettamente coerente dove la musica comunica le emozioni alle viscere, la voce al cuore, il testo alla mente. E volge al termine con una dichiarazione d’amore di rara bellezza, che pulsa sangue come da una ferita aperta…
Pictures of You
(traduzione by RedBavon)
in Disintegration di The Cure. Formazione: B. Williams, L. Tolhurst, P. Thompson, R. Smith, R. O’Donnell, S. Gallup.
Conosco molto poco i “The cure”,ma per quel poco che ho ascoltato, posso dire di averli apprezzati parecchio….
Bella presentazione
Un caro saluto
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Non mancherà occasione di scrivere e parlare dei The Cure 😉 Spero di aggiungere un altro po’ a “quel poco” che hai ascoltato. Senza The Cure, il sound di certe band non sarebbe esistito. Qualche esempio qui: https://redbavon.wordpress.com/2015/11/25/the-cure-tornano-in-italia/
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Quello dei The cure è un genere musicale che si è affermato quando già avevo cominciato a distaccarmi dal seguire assiduamente i fenomeni musicali. Per questo lo conosco assai poco: appartiene ad una generazione successiva alla mia… Però li ho ascoltati molto volentieri, come tanti altri gruppi dark degli anni ottanta…
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Adesso si spiega tutto. Ho visto anche che la tua missione per far comprendere il mondo dei videogames continua…
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Mission Impossible per l’Agente Bava 00, come la farina 😉
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Non hai convertito ancora nessuno?
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“Conversione”, parola invero che mi ricorda un passato da Santa (che di santo non aveva proprio nulla) Inquisizione oppure – ben più alla mia portata – il passaggio al Lato Oscuro della Forza di retaggio jediatico (o jeRiatrico visto il venerando Joda?).
Se intendi una “total conversion”, cioè che, dopo le mie e-franeticazioni, qualcuno abbia imbracciato un joypad o joystick o volante, anche con performance simile a quella di mia moglie come ho raccontato qualche post fa, non ne ho notizia né credo di avere tale super-potere.
Se intendi invece che qualcuno degli avventori di questa webbettola ha iniziato a cambiare idea sul Videogioco, da “oggetto non identificato e con il sex appeal di una blatta” ad “aspè-aspè-che-robba-è”, più di qualcuno ha fatto outing o coming out di essere “non-videogiocatore” e che tutto sommato mi sopporta nella mia condizione di adulto appassionato di giochini, basta che queste cose le faccio a cassa mia. Praticamente, ho innescato l’effetto NINBI nel Videogioco…NIMBI o BIMBI?…I am raised by the Pixels Wars
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Hahaha grande red! In un certo senso faccio parte del secondo gruppo, avendoti incontrato per via dell’argomento serious games.
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Ah se è per questo ho ancora un “debito” nei tuoi confronti, ma in bozza ho da parecchio tempo un bel post che sta crescendo sul serious game. Abbi fede oppure abbandona questo sito e butta la mappa 😉
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Attendo attendo…mi interessa leggere approfondimenti esperti sull’argomento…
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Adoro i Cure! Tra le mie preferite però metterei Let’s go to bed e Boys don’t cry 🙂
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Beh c’è l’imbarazzo della scelta nella loro vastissima ed eterogenea produzione. Le tue preferite sono senz’altro di quelle belle, ma del periodo precedente e assai diverso da questo di Disintegration. Io ho iniziato ad ascoltarli dall’album appena precedente, Kiss Me Kiss Me, e già era diverso da Disintegration. Sono andato poi a ritroso. La mia scelta – del tutto arbitraria e personale – è perciò dettata dall’affetto a questo periodo e alle canzoni di questi due album: li ho ascoltati veramente a tappeto di trombe di Eustachio.
Rilancio con una tripletta: A Forest, Close to Me e A Night Like This
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Bella tripletta! Io sono partito dall’inizio, seguendoli negli anni 🙂
Ti potrei proporre the hanging garden, killing an arab e jumping someone else’s train! 🙂
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Temevo l’avresti scritto…Killing an arab…proprio ieri mentre scrivero di Picture of You, mi è venuta in mente questa canzone e ho pensato che in questo periodo non sarebbe mai stata pubblicata, anche se non è che quando fu pubblicata nel 1984 non creò problemi sia alla band sia alla casa discografica. Una canzone ispirata al libro di Albert Camus “Lo Straniero” che non ha niente a che fare con razzismo e ammazzamenti di arabi. Ma tu vedi se uno non può scrivere una canzone ispirata a un libro, ambientato in Algeria…
Bella selezione!
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È vero… Oggi non avrebbero potuto scriverla mai! In fondo una volta si cantava anche “ci sta un popolo di negri che ha inventato tanti balli” 🙂
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L’avebbero potuta scrivere, ma non gliela avrebbe pubblicata nessuna etichetta. E se avessero avuto l’ideOna di pubblicarla su YouTube, sarebbero stati censurati o buttati giù dagli hacker. Credo che il mondo sia diventato molto più complicato, anche inutilmente complicato.
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Sicuramente si 🙂
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Eh vabbe’, non posso starmene zitto in questa discussione! 🙂 Anche io li ho conosciuti da Kiss Me (3) e sono andato a ritroso. Di Disintegration ho amato molto il suono “compatto”, ma per tanto tempo il mio preferito e’ stato il suono urlato e disperato di “Pornography”. In questo poker di citazioni di brani mi voglio giocare tre gioielli di B-sides di Kiss Me (3) (all’epoca compravo tutti i singoli): Sugar girl (una semplice, struggente filastrocca), A chain of flowers (sinfonica), e A Japanese dream extended mix (ipnotica). La sfida e’ lanciata!
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Uheilà Riccardo, mio mentore musicale! Pornography ha sicuramente il sound più urlato, graffiato e – se vogliamo – più originale dei The Cure. Sarà per questo che è uno degli album che avvicino con molta meno confidenza. Ma lo devo prendere a piccole dosi, altrimenti ho l’effetto “rebound” in farmacologia.
Giusta correzione di Kiss Me (3 volte), mea culpa, mea grandissima culpa e grandissima canzone che prima di poterla apprezzare ho dovuto ascoltarla moltissime volte e – a un tratto – mi si è stracciato il Velo di Gerusalemme, ma mi sa che fossi a Napoli. Ogni volta che la ascolto, mi viene da ballare, urlare, lanciare cose, datemi una chitarra e voglio moririci attaccato stringendo il flanger!
Poi mi gioco The Caterpillar, assolutamente imprescindibile per chi vecchio come noi ha visto nascere le prime TV musicali: VideoMusic credo si chiamasse mandava a rullo questa canzone, Eyes without the Face di Billy Idol e Dancing With Tears in My Eyes degli Ultravox. A Sugar Girl rispondo con Lovesong
A Chain of Flower e vabeh! 😉
Interessante cover di Imagine Dragons di Lovesong
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Ce l’ho qui nel mio mp3 e ricordo gli esordi del nostro incontro 🙂
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E infatti sulla pagina della traduzione ci sono solo due blogger generosi: uno sei tu. Bei tempi, quando eravamo giovani….No dddai mica frequnti questo postaccio da così tanto tempo….Eppure mi sembra di conoscerti From The Edge Of The Deep Green Sea 😉
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e… ma così sveliamo la nostra età 😉
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Per quello che scrivo, dici che me li danno almeno sedici?
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anche quindici 😉
che bella la canzone … ma lo scrivi un post dedicatO’ fa tanto aria di casa…
Away from home again…
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Non sono mai stato un grande fan dei Cure. Non so perché…
In compenso concordo con te su una cosa: gli artisti, qualunque artista, non dovrebbe mai spiegare quello che fa.
Ogni volta che aprono la bocca, dicono cose ignobili.
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adoro i Cure, adoro quella canzone e l’immagine che ne hai tirato fuori è perfetta, secondo me…
( come DiodiUnDio… certe cose non si devono spiegare, maledizione!)
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Commento serio: I Cure sono la più grande band sottovalutata della storia della musica Rock. Le influenze post punk e new wave che hanno lasciato ai gruppi che sono venuti dopo ne è la prova. Rock ovviamente ma anche dal New Romantic al Sinth Pop e anche al punk per non parlare di tanti altri generi più di nicchia. Quello che è mancato a Smith è il pezzo mondialmente riconosciuto come capolavoro commerciale. Ed è un vero vero peccato.
E poi spiegare le proprie opere e svelarle, toglierle quel alone di mistero che fa si che gli utilizzatori dell’opera possano dargli il proprio senso.
Commento di Cuore. Robert Smith per tantissimo tempo è stato uno dei miei più grande idoli. Mentre i miei amici ascoltavano subsonica e co che stavano emergendo io mi sparavo Blood Flowers senza pietà. Che meraviglia che arrangiamenti, quanta poesia!
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Un fior fiore di commento, mastro! Grazie!
E sei andato pure sulla controversa produzione posteriore a Disintegration. I fan della prima ora, già storcono il naso a Disintegration e tirano anatemi a ciò che è arrivato dopo. The Cure hanno influenzato la musica e diverse band oggi non esisterebbero nemmeno: questo è indiscutibile.
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Penso che tu abbia la capacità di leggermi nel pensiero… Non hai idea dell’importanza che hanno i Cure per me. Soprattutto “Pictures of you” e “Boys don’t cry”. Che dire… brividi!
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Magari avessi un super-potere, diventerei l’idolo dei mie due nanerottoli di 5 anni che ora sono in fissa per gli Avingierssss 😉
A parte le battute, una cosa certa te la voglio dire: The Cure per me hanno una grandissima, enorme, smisurata importanza.
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Forti gli Avengers! A parte questo… Sono una fetta consistente del mio passato
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Come fai bene a ricordare questa origine… Meravigliosa.
Non dico niente. Questa canzone – e l’intero album, e la sua pioggia – è patrimonio di tutti noi. Ognuno, in fondo, la lega a un vissuto intimo, profondo, come il battito costante e implacabile che anima il brano. Lo porta avanti dall’inizio alla fine. Implacabile, costante. Senza il minimo indugio. Non si perde, non si sfibra. E’ il vivere del ricordo, il potere dell’evocazione, dentro di noi. Hai detto bene tu: quello sventagliare magico di campanelli, il tintinnio che sparge luce nel buio. Un soffio di vento che scompiglia i capelli e la mente. Un’apparizione, come se fosse reale, qui. Il ricordo, il piacere di rivivere un incontro, l’attimo, il primo. Sa di magia. C’è il velo della malinconia, il senso dell’assenza, di ciò che è stato e non è più. C’è tutta la potenza dell’evocazione, come se fosse tutto come allora, come se si fosse ancora lì, nella scoperta di un’emozione, del fascino travolgente che può avere su di noi una persona… E’ una canzone che accompagna e non concede scampo. Ti porta con sé, sulla via del ricordo.
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‘On Paolo bello! Il tuo commento è sempre una gioia perché arricchisce, migliora e lancia spunti in tante direzioni. Questa canzone spesso viene associata a un forte dolore, pena, sofferenza, evoca potente il senso di assenza. Smith usa spesso un concetto “drowning love”, l’associazione amore e annegamento, mancanza anche come mancanza d’aria. Ai primi ascolti questa canzone ha comunicato anche a me questa unica potente sensazione. Via via che ho imparato as ascoltare la musica di The Cure, questa canzone ha iniziato ad assumere un altro significato, liberatoria e vivifica come una redenzione, come il ritorno del figliol prodigo per il papà che lo vede arrivare da lontano.
Pictures of You è diventata l’idea, il senimento di trattenere qualcuno; l’esigenza cui non puoi opporti di volere trattenere qualcuno, anche se lui/lei non c’è più vicino e perfino a sua insaputa, in silenzio. Nel tuo profondo.
Nel trattenere questa idea/sentimento della persona amata non coincide necessariamente con la vera persona amata; nel tempo, la persona amata è soggetta a cambiamenti, mentre la nostra “idea” tende a rimanere sempre identica, costante nel tempo: un Doran Gray senza specchio.
Può accadere che si perda totalmente contatto con la realtà di quella persona e di come è cambiata nel tempo, ma a noi è sufficiente pensarla, sentirla così come era una volta, così come l’abbiamo conosciuta, così come vi abbiamo vissute certe esperienze ed emozioni. Anche solo per sentire quei campanelli, come hai magnificamente descritto!
Diamine sono andato lungo, ma potrei continuare…Te l’ho detto che mi dai spunti.
Ehi ci vediamo a El Bavon Rojo, te lo ricordo, anche se lo so già….Arriverai in ritardo…;)
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Caro, carissimo Red.
Tu mi conosci e sai che mi perdo il tempo e il meglio… Ogni tanto recupero… Per fortuna.
Bellissime le tue parole e bellissima questa introduzione a una parte, una goccia della poetica di R. Smith.
Interessante e… palpabile. Condivido ciò che hai scritto e la sensazione che se ne potrebbe parlare molto a lungo.
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‘On Paolo bello, a proposito di condivisione, non ti perdere la puntata di Batmancito pubblicata ieri e, sopratutto, quella che verrà dopo perché c’è una sorpresa, spero gradita.
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Sarò in prima fila!
Entro che han già spento le luci, faccio alzare mezza fila, mi prendo un po’ di improperi, ma ci sarò!… 🙂
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Seeeeh mica te la faccio così facile…Ho in serbo una tua entrata alla grande….;)
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Urca!… la cosa si fa sempre più interessante!… Nel frattempo vedo di recuperare il filone del “Batmancito”!…
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Non è obbligatorio, ma “caldamente” consigliato 😉
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