Viva il Messico! Ep. #13 – Sian Ka’an, alla laguna e ritorno


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6° dia – Riserva della Biosfera di Sian Ka’an – II parte.

Da Pez Maya proseguiamo la nostra “scampagnata” yucateca nella Riserva della Biosfera di Sian Ka’an a bordo di una lancia a motore, diretti all’interno, nella laguna per vedere il nostro primo cenote, che non è uguale agli altri che si trovano per tutto lo Yucatan.

Questo cenote, infatti, è sommerso, nel bel mezzo della laguna, e lo si riconosce per una specie di “ribollire” in superficie, come se stessero soffiando dell’acqua dal fondo; infatti, si tratta di un vero e proprio getto d’acqua…dolce!

Nella lingua Maya “dzonot”, significa “acqua sacra” e  proprio da tale termine viene l’attuale “cenote”. I Maya utilizzavano i cenote sia per l’approvvigionamento idrico sia per rituali sacri. Si tratta di doline carsiche, originate dal crollo del tetto calcareo di grotte risalenti al Pleistocene a causa delle infiltrazioni di acqua piovana.

Questo è un tipico cenote, quello di Dos Ojos (in foto), tra Playa del Carmen e Tulum, è tra i più famosi
Questo è un tipico cenote, quello di Dos Ojos (in foto), tra Playa del Carmen e Tulum, è tra i più famosi

Lo Yucatan non ha praticamente risorse idriche e, quindi, le fonti d’acqua dolce sono rappresentate da questi cenote ovvero dei “buchi” di varia grandezza sulla superficie calcarea della penisola, che si riempiono di acqua piovana, filtrata dal terreno. In parole semplici, non esistono fiumi in superficie, ma sotto terra ce ne sono parecchi. Alcuni cenote sono collegati tra loro, come Dos Ojos, uno dei più famosi e spettacolari tra Playa e Tulum, ma è pericoloso addentrarvisi tanto che si contano diverse centinaia di morti di sommozzatori  in queste immersioni, l’ultima a marzo scorso.

La scheggia di “Oggi, Lezione di Scienze” è quanto apprendiamo dalla guida che parla in un inglese comprensibilissimo ed è un vero e proprio “cenote” di scienza! Ha la capacità divulgativa di trasmettere informazioni a persone non predisposte e in un momento di relax.
Sergio ci spiega che questa zona è battuta ogni settembre e ottobre da forti uragani: ci racconta che ha dovuto postecipare il suo matrimonio di un anno perché a settembre dell’anno passato la chiesa è stata rasa al suolo dall’uragano e occorre aspettarne la ricostruzione. Io, questi messicani e il loro rapporto con il Tempo, inizio ad amarli alla follia!

Di cenote e templi perduti
Siamo nel bel mezzo della navigazione di un canale, più che un fiume, stretto e, in alcuni tratti, si infila in un fitta rete di rami di mangrovie, che formano dei tunnel naturali. Indiana Jones feat. I Quattro Caballeros in Alla ricerca del tempietto perduto.

Non credo di riuscire a rendere l’emozione di essere nel pieno di un ambiente selvaggio, l’emozione di avvistare un uccello dai colori iridescenti, un pesce, una pianta dalle forme sconosciute.
Di sicuro è da provare e sono consapevole che potrò riuscire a comunicare un quarto dell’idea e a trasmettere un millesimo dell’emozione, considerato che avete davanti un “Dante Alighieri” – come mi ha definito generosamente Frank – dei Poveri – come ho subito debitamente precisato –  e che quei tre reietti della lingua italiana scritta, con cui mi accompagno, raramente si cimentano su queste pagine a descrivere quanto hanno provato.

Dal momento che con la stessa probabilità che chi scrive vinca alla Tombola familiare, tragico rito natalizio, i tre di cui sopra useranno la propria mano anche per qualcosa che dia godimento anche al prossimo, io vado a snocciolare gli eventi che seguono.

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Immaginate…
Immaginate una laguna che si unisce la mare, la foresta tutta intorno, un ponte di legno (tipo quello sul fiume Kwai), ci passiamo sotto con la barca e ci inseriamo in un canale costeggiato da una ragnatela inestricabile di rami di mangrovie, che si intrecciano dalle radici alle chiome, a formare degli archi e tunnel naturali; una libellula ci supera, si mette esattamente davanti alla prua, pochi metri più avanti, a pelo d’acqua, poi svirgola quasi ad angolo retto e si perde alla vista, neanche il tempo di provare a inseguirla che la coda dell’occhio percepisce un movimento dalla parte opposta. Un airone azzurro, a non più di cinque metri, raggiunge le chiome più alte, spaventato dal rumore del nostro motore, anche se a regime minimo.

La barca ondeggia tra le curve e le anse del canale, naturalmente creatosi per la forza delle correnti che spingono l’acqua dolce dal centro della laguna all’esterno, fino al mare.
Laggiù, a pelo d’acqua, un’aguglia guizza tra le onde, sembra volare sott’acqua una razza dalla coda pericolosissima per il rostro affilato in punta, il brulichio di una moltitudine di pesciolini in branco. Lassù, un pellicano, un’airone, l’avvoltoio, l’aquila pescatrice, i corvi e altri uccellini incrociano lo spazio davanti la nostra prua, disegnando velocemente delle scie immaginarie nella nostra visuale, che si perdono ai nostri lati nella vegetazione lussureggiante.

Siamo immersi in un sudario dal tasso di umidità e una calura sopportabile solo grazie allo spostamento d’aria causato dal movimento della barca e dalla bellezza di questo spettacolo naturale. Le macchine fotografiche non ce l’hanno fatta: l’umidità è tale che i meccanismi sono bloccati e quel poco di elettronica (le digitali erano ancora da venire) è andata in pappa totale.

Dopo un bel po’ di navigazione, giungiamo in un lago: l’acqua è torbida per le alghe, ma diventa più limpida in prossimità del sistema di cenote, sparsi sul fondale, che “pompano” acqua dolce e cristallina. L’effetto è strabiliante per noi, immagino per i Maya! “Acqua sacra”, nome non fu più adeguato.

Imbocchiamo un altro canale: mangrovie, mangrovie di lato, mangrovie sopra la testa, mangrovie, mangrovie, mangrovie. in fondo, la savana formata da un’erba ispida e ancora più in fondo, come la scenografia di un palcoscenico, la giungla. Una giungla in perfetto stile Tarzan dei film con Gordon Scott, anche se non siamo in Africa. trasmette ansia, pericolo e mistero proprio come in quei film in bianco e nero agli occhi di noi bambini.

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Via via che procediamo lungo il canale, l’acqua diventa sempre più chiara e trasparente e  – a detta da Sergio, la nostra guida – sempre più…dolce: la salinità in questa zona passa da 25 grammi di sale per litro d’acqua a scarsi 8 grammi.

Facciamo una sosta sotto l’ombra di un tetto di rami di mangrovie: una pausa a base di molto meno selvagge Coca-Cola e cookies americani, ma altrettanto pericolosi per la salute.

Batmancito!
Dopo avere percorso un altro tratto di canale, giungiamo a un malconcio pontile in legno: chi vuole, scende a “terra”. Camminando su assi di legno, semi-affondate nel fango e disposte a formare una passerella, venti metri più avanti ci si para davanti un tempietto Maya, in evidente stato di rovina e semi-nascosto dalla vegetazione.
Per entrare, dobbiamo accovacciarci. Sembra che i Maya, oltre a essere di bassa statura, entrassero nei templi in ginocchio come segno di rispetto agli Dei.
La nostra guida entra per prima e ci fa segno di attendere. Impugna la torcia e inizia sistematicamente a puntare il raggio luminoso all’interno di alcuni buchi delle pareti, qualche bestia?
Ci fa cenno di entrare e l’interno è molto stretto e basso, sconsigliabile a chi soffre anche lontanamente di claustrofobia. All’improvviso, qualcosa solca il poco spazio aereo rimasto tra i nostri corpi e l’interno del piccolo tempio. Ce ne accorgiamo soltanto per lo spostamento d’aria e una piccola ombra appena percettibile grazie al rapido adattamento della nostra vista alla semi-oscurità: è “Batmancito”, un piccolo pipistrello, ribattezzato da Sergio con il simpatico nomignolo “piccolo Batman”.

Ma non è finita: un turista spagnolo deve fare lo sborone con la sua telecamera di ultima generazione, pagata sicuramente una cifra smodata di pesetas; con il raggio a infrarossi di questa sua diavoleria elettronica (una delle poche che hanno resistito al tasso di umidità) scandaglia ogni fottutissimo buco delle pareti. Dico io: perché andare a disturbare un serpente o un scorpione o un’altra bestia pericolosa che se ne sta, bella rintanata al fresco, magari a dormire dopo una nottata di fatica e magari poca fortuna a caccia?

A pensare male, ci si prende spesso e, infatti, in un buco della parete scopre qualcosa. Chiama Sergio, che mi fa cenno di venire a vedere. Sono un tipo curioso e Sergio se n’è accorto. Il buco nella parete è posto a un’altezza appena sopra la mia testa, quindi ho necessità di alzarmi sulle punte, alquanto instabili sia per il fondo sconnesso, sia per una certa tremarella per ciò che potrei trovare.
Appena i miei occhi sono all’altezza del foro, Sergio punta la torcia all’interno e lì – che il Quetzcoatl se lo porti! – in fondo è raggomitolato un serpente di dimensioni ragguardevoli a giudicare dalla dimensione delle spire. Riabbasso di botto le punte e rincalcagno il collo, in un movimento che ricorda più il ritrarsi fulmineo della lingua del camaleonte quando ha ghermito la sua preda. Mi guardo Sergio con l’espressione evidente per un romano ma non per un messicano, che gli avrebbe altrimenti comunicato senza dubbio alcuno “Ma per li mejo mortacc’de tu bisnonno Maya, Sergio ma che t’ha detto er cervello?!? Matte sembro Crocodile Dundee o Indiana Jones!?!”
Sergio mi sorride e inizia a ghignare, informandomi che il serpente era almeno due metri di lunghezza e che doveva essere anche un bel bocconcino. Come sarebbe a dire? Lo mangiate? Sì, Sergio dice che non lo mangia, ma alcuni trovano squisito il serpente.

Sazi della nostra dose di Indiana Jones, ripieghiamo alla barca onde non disturbare ulteriormente il sonno del rettile.

M’è dolce naufragar in questo canal!

E invece no. Indiana Jones è un pivello al nostro confronto! Nel programma è prevista una navigazione extra, ma senza barca: a nuoto, nel canale, meglio descritta come
immersione e galleggiamento di esseri umani trasportati dalla corrente in un canale di acqua dolce con circa 1.300 coccodrilli ivi domiciliati. Ma di giorno, dormono.

È l’esperienza de-fi-ni-ti-va!
L’esperienza per cui vale tutto il viaggio fino a qui vissuto e, che alla fine, sarà una delle più significative di un certo numero di viaggi a venire. La consiglio a chiunque incorra nell’errore di pronunciare nelle mie vicinanze le parole “viaggio” e “Messico”. Ho giurato di rompere amicizie e di ripudiare mia sorella se, nel recarsi in Yucatan, si fossero lasciati scappare la riserva della biosfera di Sian Ka’an e, in particolare, questa esperienza.

Ci immergiamo nel canale, ci viene fornito un cuscino galleggiante o un salvagente. L’acqua è limpida, il canale non è profondo e si intravede il fondale.

Ci facciamo trasportare dalla corrente. Non serve muovere un dito. La corrente morbidamente ti culla e ti muove secondo il corso del canale. L’acqua è dolce, non si percepisce il tipico “pizzico” del sale, certo non da bere.
Ogni tanto s’incontra un po’ di vegetazione che galleggia, ogni tanto una correzione di rotta con una mano, una bracciata sporadica, per non finire contro una radice di mangrovia troppo sporgente nell’ansa.
A un certo punto, in questo stato di assoluta rilassatezza e aliena calma, decido di strafare: mi siedo sul cuscino galleggiante, semi-affondato, e navigo il canale comodamente seduto in poltrona.
Dopo una trentina di minuti di questa “navigazione” e con il rammarico che i coccodrilli dovranno accontentarsi della solita dieta a base di pesci, uccelli, tapiri e affini, risaliamo sulla barca.

Devo confessare che, nonostante la nonchalance con cui consiglio questa esperienza, in realtà avevo addosso una certa agitazione a livello irrazionale: Diego ed io, infatti, abbiamo ciarlato e scherzato per tutto il tempo che siamo stati immersi nel canale, ininterrottamente come un disco incantato. Qualche turista del gruppo ci ha anche guardato storto, ma deve essere grato e riconoscente perché il nostro schiamazzo, apparentemente fuori luogo, ha allontanato sicuramente i coccodrilli dalla zona. Cosa che non è accaduta nel caso di una mia amica carissima, che invece è dovuta risalire all’improvviso a causa di un coccodrillo che stava facendo la pennichella sul fondo del canale. Non c’è pericolo, tuttavia: una barca va avanti e controlla il fondo e le rive, nel mezzo i turisti galleggianti, alle spalle una barca che segue e controlla la retroguardia.
Andate tranquilli e sicuri…E chiacchierate!

Si ritorna a casa-base
Un po’ di mare, si gioca sulla spiaggia con il cane della donna tedesca, protagonista del miracolo accaduto il giorno prima. Frank – che non ha un gran rapporto con i cani – si cimenta con il lancio della noce di cocco al cane, che prontamente gliela riporta. Dopo tutto questo movimento, ci si schiatta sull’amaca e si gode anche di una celestiale visione femminile: viso dai bei lineamenti, mora, capelli lunghi, slanciata e corpo da suscitare la nostra invidia e qualche istinto omicida nei confronti dell’accompagnatore.

Doccia, cena, giro di “hornitos” e uno scopone assolutamente catastrofico per me e il buon Frank: siamo ancora in vantaggio, 3 a 1. Diego e Lucio hanno applicato con feroce sistematicità l’Aurea Regola dell’Appariglio e dello Spariglio.

La notte si rivela allucinante a causa del caldo, del tasso di umidità da fare schifo al Mostro della Laguna, dai nugoli di insetti che si sono dati appuntamento nella nostra cabaña, forse a causa della pioggia battente, che penetra attraverso il tetto di foglie di palme e una goccia bastarda centra il buco nella zanzariera che sormonta il letto, esattamente sulla verticale della mia testa.
Questa è la Natura Selvaggia.
La prossima volta mi porto lo scafandro.

Il giorno dopo si parte in direzione di Cobá, passando prima per le Ruinas di Tulum, in riva al Mare dei Caraibi.

E chi non viene con noi, che un cenote lo inghiotta!

Ep. #14 – Da Tulum a Cobà->

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Onda sonora consigliata: Danzónes Mexicanos

15 pensieri su “Viva il Messico! Ep. #13 – Sian Ka’an, alla laguna e ritorno

  1. Batmancito… ❤
    Da quando ho letto 'Silverwing' di Kenneth Oppel ho sviluppato una certa simpatia per i pipistrelli… purché se ne stiano a debita distanza 😀
    Il bagno con i coccodrilli davvero dev'essere stato un'emozione unica, temo che dovrò accontentarmi del racconto ma in effetti è davvero un gran bel racconto.

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    1. Nessun coraggio;) l’acqua è trasparente, l’argine è di un mezzo metro più alto, l’ombra delle mangrovie e la temperatura dell’acqua in quell’afa faticosa da respirare sono un invito che ti tenta parecchio. L’esperienza è unica, ti assicuro. Il senso del pericolo non percepisci.
      A meno che non hai litigato con i tipi delle barche…Ma a quel punto, non ti basta il coraggio, ma raccomandarti alla Madonna di Giadalupe;)

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  2. Pingback: Batmancito [Indice] – Pictures of You

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