Io sono terrone. Oui je suis emigrante


L'emigrante (Charlie Chaplin, 1917)
L’emigrante (Charlie Chaplin, 1917)

Mentre scrivevo un commento sul bel post di clipax Siamo tutti terroni, sono andato lungo e onde evitare di essere il solito napoletano invadente, straripo qui a casa mia. Narcisiè, puort’e sigarette e ‘na birra che la vedo lunga…

Io sono terrone. io sono emigrante.

La memoria degli uomini è corta, lo è sempre stata, visto che i cicli storici sono noti e oggetto di studio.

Historia magistra vitae, quanto è vero. Nei periodi di crisi, si ricerca sempre la ragione del perduto benessere e sopravvenuto disagio all’esterno del proprio “sistema” o si trova un capro espiatorio. La storia recente del Terzo Reich la dovrebbero conoscere anche i muri. Abito in una strada dove, di tanto in tanto camminando sul marciapiede, davanti alcuni palazzi, ci s’imbatte in alcune piccole piastre di metallo dorato in cui sono scritti i nomi di persone, intere famiglie che vi abitavano e che non sono più tornate dai campi di sterminio. Vittime sacrificali di questa ignoranza e necessità di trovare nell’altro diverso la “soluzione” ai propri errori.

La storia è piena di esempi di questa barbarie. In un mondo occidentale, perennemente connesso a una rete di informazioni a portata di un dito indice, sembra invece che certi fatti storici siano stati dimenticati, più o meno consapevolmente, più o meno in modo indotto. A volte, subdolamente sottile.

Il razzista oggi si nasconde dietro un “non sono razzista” e lo riconosci l’attimo dopo quando aggiunge un “ma…”. Il razzismo è un abominio, è la negazione della dignità umana di altri e propria, è l’annichilimento subitaneo – senza nè “ma” nè “se” – della teoria secondo cui la razza umana sia evoluta e continui a evolversi.

Io sono terrone, OUI! Je suis emigrante. Lo dico un po’ in francese perché tanti se lo sono scritto sulla t-shirt, ostentato sulle loro personali vetrine virtuali, se ne sono riempiti la bocca in occasione dell’ennesima strage:”Sì, io sono francese”. E i francesi, gli stessi di “Liberté, Égalité, Fraternité” vanno alle urne con lo spauracchio di consegnare il Paese all’ultra-destra, nostalgica di ideologie che, durante la II Guerra Mondiale, hanno prodotto orfani, vedove e spazzato via intere famiglie con la loro storia e DNA: vittime militari, oltre 22 milioni; vittime civili, oltre 48 milioni. Spazzato via il 37,4% della popolazione (fonte: Wikipedia). La storia vi annoia, ma sapete sicuramente fare di conto.

E mentre vi scrivo, a Nizza un’altra strage. Si ipotizza di matrice terrorista, ma non c’è conferma ufficiale. “Camion fou” scrivono. C’è un errore (fatto apposta?):  il camion non è folle, sono le persone ormai in preda alla follia. Potrebbe essere stato un folle, ma è più utile denunciare la strage di matrice terrorista? Dopo la bugia colossale delle armi di distruzioni di massa in Iraq per fare fuori la loro stessa creatura, Saddam Hussein, la credibilità si compra all’ingrosso, le notizie si distribuiscono nel banco del “fresco” e il conto alla fine è sempre più salato di quanto ti aspettassi. Basta poco tempo per dimenticare, figuriamoci se la storia può insegnare.

L'”escalation” è sempre la stessa. Cambiano solo le modalità, il percorso è sempre lo stesso: Paura-> Terrore-> nessuna spiegazione-> chiusura (sociale e dei confini)-> radicalizazzione lotta politica-> nazionalismo becero-> addosso al diverso-> capro espiatorio-> fare guerra-> vendere armi-> morte dei civili-> ritorna a Paura senza passare per la Memoria.

Io sono emigrante. Sto rinunciando a migliorare la mia terra per tante ragioni, fosse anche l’amore per una persona che vive in un’altra città. Ma se fossi nato su un’altra sponda del Mediterraneo, oggi potrebbe anche essere che sto fuggendo dalla mia terra con la consapevolezza di non potervi più tornare, di non rivedere più i posti della mia infanzia, del mio primo bacio, del mio primo pianto, i sepolcri dei miei cari, i visi degli uomini, delle donne, dei bambini, degli anziani della mia terra., del suo odore, della sua luce. Fuggo e forse non arriverò mai dall’altra parte del Mediterraneo, come molti, moltissimi e ancora di più di quanto le statistiche possano contare, perché voi sapete fare di conto. No, non sapete fare di conto perché non sapete quanti hanno trovato quella pace, negata in terra, sul fondo di questo mare, culla delle nostre civiltà in tempi antichissimi. Se sapete contare, è grazie agli arabi; se vi radete la barba, è grazie agli arabi; se sapete navigare con sicurezza nel mezzo del mare, è grazie agli arabi. Ma voi non sapete nulla o, preferite non sapere nulla.

Riccorre ciò che scrivevo nella recensione del romanzo di ambientazione storica, L’Avventura di un Povero Crociato:

L’ennesimo scontro tra Occidente e Oriente, uno scontro strumentale della politica, piuttosto che dei popoli. Nel capitolo “Una lezione di orientalistica” vi è una perfetta sintesi delle incomprensioni e della disinformazione (insinuata ad arte) nell’Anno Domini 1096, lecito aspettarselo, ma di imprevista attualità oltre 900 anni dopo.

Questi popoli sono uniti dal credo nello stesso e unico Dio, dalla devozione alla Madonna e Gesù Cristo, dalla comunanza dei luoghi di culto. I temibili cavalieri franchi finiscono per montare cavalli arabi e caucasici, devono rinunciare alle proprie pesanti armi e si vestono come gli armeni o gli arabi stessi. Una parte di queste genti nullatenenti, partite per trovare martirio o fortuna, attraverso un viaggio di morte, violenza, sofferenza, che ha loro sottratto tutta l’umanità, si troverà alla fine trasformata in qualcosa d’ “altro”, quell’ “altro” che al grido “Dio lo vuole!” ha ammazzato, violentato e persino mangiato. Si fermeranno in Terrasanta, si vestiranno all’araba, non cucineranno più con vino e lardo di maiale e si faranno preparare dalle loro mogli arabe un delizioso mensaf. “Così, ciascuno di noi resta quel che è, ma impara dall’altro. Nessuno chiede all’altro di convertirsi: ma non potremmo trarre gli uni il meglio dagli altri?”. Una redenzione, in effetti, è avvenuta. Una storia di integrazione inaspettata, soprattutto per quei tempi e che, oggi, sembra non aspettarsi più nessuno.

Historia magistra vitae. Ma la storia ci annoia, ci mette davanti alle nostre responsabilità, ai nostri errori. Ci costringe a fermarci e girare la testa oltre la spalla per vedere se abbiamo lasciato qualcuno indietro. Potrebbe venirci in mente di andargli incontro e continuare il nostro viaggio in compagnia, ascoltando la sua di storia e apprendendo l’esperienza che noi non avremmo il tempo o l’occasione di fare.

La storia ci annoia, abbiamo deciso di fare solo di conto. E nemmeno siamo tanto bravi a fare di conto. Qualcuno sta facendo la cresta anche sulla pelle dei nostri figli. Non ci pensiamo ora, mangiamoci una brioche.

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23 pensieri su “Io sono terrone. Oui je suis emigrante

    1. È’ un tema su cui mi sono scontrato e ancora oggi mi scontro contro le stupide etichette, i cliché da chiacchiera in ascensore, cercando il confronto, a volte proprio lo scontro. Certi amanti di felpe dovrebbero scriverci su “Pirla” perché l’unico modo per farli riflettere – seriamente – e’ metterli davanti a uno specchio. E gli specchi, si sa, non dicono bugie, nemmeno nelle favole.

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            1. Sai caro clipax, i nostri due post sembrano proprio uno “cervello” e uno “cuore”. Entrambi essenziali per il “corpo”.
              Tu non sei terrone, hai usato con lucidità ed equilibrio la razionalità del cervello e lo hai fatto con cuore, con empatia; io sono terrone e ho vissuto sopra e sotto la mia pelle alcune cose di cui parli, il cuore batte, sistole, extrasistole, sistole, pompa sangue, fiotti arrivano al cervello e in tutto il corpo, come per prepararlo a una lotta, e con il cervello ho tentato di ridurre lo slancio emotivo e l’impulsività, che mi è naturale.
              Hai proprio ragione: SIETE tutti terroni. Io lo sono già.Benvenuti tra noi.

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    1. In TV le urla dominano questi temi, eppure hanno un microfono. Li sentiamo benissimo anche se non urlano. Le generalizzazioni sono il sistema di tagging più diffuso tra chi ha deciso di rinunciare alla propria consapevolezza, a formare una propria personalità, alla propria libertà. E’ un mezzuccio spicciolo per non sentire il dolore del proprio nulla. Dorian Gray docet.
      Grazie per avere visto l’equilibrio nella mio scrivere, mi ci sono impegnato e avevo qualche dubbio di esserci riuscito, visto che sono un impulsivo-piroclastico.

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    1. Caro mio, qui nemmeno i giornalisti controllano le fonti delle notizie prima di diffonderle e pure commentarle, figuriamoci leggersi Gramsci!
      Tuttavia, per chi volesse farlo qui c’è un buon articolo de Il Fatto Quotidiano.
      Gramsci fu uno dei primi a capire che la cosiddetta “questione meridionale” non era un problema locale, ma una “questione” nazionale. Individuò “le due più grandi figure della reazione italiana” in Giustino Fortunato e Benedetto Croce, intellettuali di indubbio prestigio, ma anche strumenti della costruzione del sistema egemonico borghese. Gramsci fu critico, perfino polemico, nei confronti di quel ceto intellettuale-borghese che diffondeva presso gli operai del Nord, l’idea che il Sud fosse la palla al piede che rallenta lo sviluppo del Paese (pensare che ancora oggi cìè chi ripete questo concetto). Gramsci quindi riteneva di importanza essenziale la sconfitta di questi pregiudizi anti-meridionalisti: un passo decisivo per fare nascere le condizioni dell’ “alleanza della classe operaia [del Nord] con le masse popolari del Mezzogiorno”.
      Oggi non esiste più questa netta differenza di classi, tuttavia il pensiero di Gramsci è ancora di attualità e purtroppo inascoltato e inattuato. Aggiungo che i pregiudizi anti-meridionalisti e l’idea di lasciare andare il Sud per il bene del Nord, sono della stessa matrice su diffusissimi e, sempre più frequenti, discorsi di ricacciare indietro i migranti e gli “extra-comunitari” (parola che odio e virgoletto per citare chi la usa) e, perfino, all’interno dell’Europa tra Paesi più economicamente sviluppati (vedi Brexit-facciamo-tutto-da-soli). La questione non è meridionale, ma nemmeno solo italiana…E’ un concetto universale.

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    1. Non c’è uno spazio per le sottoscrizioni ne’ ho la presunzione di poterne essere un promotore, tuttavia questo tuo bel commento mi fa sentire la comunione, il legame è la vicinanza, anche se – per i più disparati motivi – siamo lontani dalla nostra terra. Vale per i terroni, vale per gli emigranti da qualsiasi parte vengano e per qualsiasi motivo. Chi non la pensa così se ne faccia una ragione perché noi siamo molti di più, uniti dalla stessa speranza e determinata dal diritto naturale di ogni uomo a ottenere la sua pace, la sua casa, la sua famiglia.
      Grazie e bentornata a casa.

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