Super Famicom: The Box Art Collection


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Parte #2 – Tutto quello che avreste voluto avere per il Super Nintendo e non avete mai osato chiedere.

Tra i tanti libri, saggi, illustrati sui videogiochi che ho letto, Super Famicom: The Box Art Collection conquista il podio più alto con il pugno chiuso contro il cielo, proprio come Tommie Smith in quel 16 ottobre 1968 ai giochi olimpici di Città del Messico. Senza scarpe, calzini neri, testa bassa, alfiere di una “razza” discriminata: i videogiocatori.
Questo libro sta ai videogiochi come Quarto potere, Casablanca, Via col vento, Luci della città, Ladri di biciclette al Cinema. E’ una testimonianza, vivida e palpitante, di un passato che ci ha reso i videogiocatori che siamo oggi e, con noi, il medium che ha raggiunto 1,2 miliardi di persone nel mondo e il 50% della popolazione italiana.

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Inizia il mio Psyco Dream…

Welcome to my Psyco dream…

L’altra sera rientrando a casa, saluto i miei cari, o meglio, saluto la mia consorte, perché i miei due nani di cinque anni sono rapiti da un importantissimo episodio di un cartone animato a caso. Giornata particolarmente faticosa e non riesco nemmeno a rimproverarli amorevolmente – “Tesoro, sono a casa.” (cit. Jack Nicholson in Shining) – al fine di estorcergli uno di quei bavosi bacetti, di cui ammetto la tossico-dipendenza.

Quando la coda dell’occhio mi va su un plico appoggiato un po’ distrattamente da una parte, non il solito luogo dove riponiamo la posta.

È un pacco postale di discrete dimensioni, di quel colore marrone-cartone che mi fa tanto “È arrivato Babbo Natale!” e invece è solo giugno. Segue la mia solita apertura feroce, spargendo intorno brandelli di cartone, come arti e assortite frattaglie di un incauto turista imbattutosi in un leone che non mangiava da una settimana. Storie ordinarie di sfiga o turista “fai-da-te”, no Alpitour.

Con lo sguardo pieno di soddisfazione beota di un bambino che ha scovato il luogo (ex-)segreto dove i genitori nascondono gli ovetti Kinder, che gli somministrano solo se “fai il bravo”, fisso la meraviglia di libro che ho tra le mani:

Super Famicom: The Box Art Collection.

Perché per una recensione di un libro ho scelto come introduzione il racconto di un giorno come tanti di un borghese piccolo piccolo? Per una volta, non è farneticazione gratuita, ma un senso ce l’ha. Vasco docet.

RedbaVoight-Kampff Test: se nel paragrafo precedente il vostro cervello ha registrato due titoli di film nascosti nel testo, siete in perfetto sincrono con chi scrive e sono certo che troverete soddisfazione in ciò che segue. Per gli altri e gli agnostici: abbiate fede.

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I love videogames…

Super Famicom: The Box Art Collection è più vicino a un album delle fotografie di famiglia, piuttosto che un libro scritto da un qualche misconosciuto esperto di videogiochi riguardo qualche vecchio computer o console degli anni ’90. Cui prodest, magari non eri neanche nato o, al massimo, giocavi con le bambole o i Playmobil.

Se, invece, vieni percorso da un brivido lungo la schiena all’udire parole che alla massa suonano come “Supercalifragili Stichespiralidoso” e cioé Amiga, Atari ST, PC Engine, Neo Geo, Mega Drive, Super Nintendo, allora questo libro ti farà sentire una stretta al petto proprio come quando rivedi certe fotografie in cui sei con mamma e papà, giovanissimi e sorridenti, sono tutti per te, perché la cicogna non ha ancora portato quel rompibballe di tuo fratello, e tu sei felice come una Pasqua, anche se indossi calzoncini corti, porti una camicia dal colletto a punta e una capigliatura che oggi il barbiere – per deontologia professionale – si rifiuterebbe di metterci le forbici.

Lo sfogliare le pagine di questo libro è come ripercorrere una parte della propria vita attraverso le fotografie dell’album di famiglia: un tuffo al cuore, un quadruplo e mezzo avanti carpiato, un tuffo da record mondiale.

Se hai vissuto l’epoca magica dei 16 bit, pagina dopo pagina, memorie ormai seppellite dal tempo torneranno in superficie, minuzie di ricordi che custodiscono anni di felicità.

È un fantastico viaggio su un’autostrada percorso da un traffico di memorie che procedono su più corsie e a diverse velocità. Sorpassi e vieni sorpassato: quella che ti supera sulla sinistra è “avrei tanto voluto, ma non avevo i soldi”; ne sorpassi diverse anche tu, sono quelle che hai messo sulla “lista della spesa” e poi comprato, quelle che per cui hai pregato i tuoi genitori come un monaco buddhista, quelle che – per risparmiare – hai ordinato in contrassegno e le poste dopo un mese ti hanno recapitato, quelle che ti hanno regalato, prestato, noleggiato; poi c’è quella che ti supera sulla destra: è quella che hai visto sulla rivista di videogiochi, ma si vendeva solo in Giappone e dal quel negoziante importatore a prezzi ex art. 629 del Codice Penale.

Ma cos’è? Oddio no! Ma è contromano! Questo libro riserva anche delle sorprese: per quanto ti ritenessi “uno dei più forti” in materia di videogiochi (almeno in questo…) spunta una di quelle “cassette” di cui non sapevi assolutamente nulla. Super Famicom: The Box Art Collection è un libro dove alberga la serendipità, la fortuna di fare felici scoperte per puro caso.

 “La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”  Julius H. Comroe

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Fondata da Sam Dyer, graphic designer, l’editrice Bitmap Books ha pubblicato una collana di libri in cui si raccontano gli anni dei primi home computer: Commodore 64, Commodore Amiga, ZX Spectrum e a una gloriosa software house britannica, la Gremlin. A giugno si è aggiunto il primo libro dedicato a una console: il Super Famicom, noto al di fuori del Giappone come Super Nintendo.

Si tratta di libri illustrati, dall’edizione curatissima, stampati su materiali pregiati e rifiniti nel più piccolo particolare. La linea editoriale è incentrata sulla celebrazione attraverso le immagini dell’”Età dell’Oro” di una specifica macchina e, soprattutto, dei giochi più iconici che vi giravano. Chi ha vissuto questa età può così rivivere attraverso le immagini, le interviste, le citazioni, gli aneddoti e vari contributi da parte di programmatori, editori, artisti, che hanno creato quei giochi. Una sorta di “dietro le quinte” di un’industria che ieri aveva caratteristiche più “artigianali” – non era raro che i giochi venissero sviluppati da due persone nel garage di casa – mentre oggi è a tutti gli effetti un’industria, che nel mondo muove oltre 90 miliardi di dollari e si stima continuerà a crescere.

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Tra le 276 pagine di Super Famicom: The Box Art Collection vi sono oltre 250 videogiochi, alcuni mai giunti in Occidente né mai citati dalla stampa dell’epoca, rarità rivelate grazie alla collezione di Stuart Brett (noto come “Super Famicom Guy”). A ogni videogioco è dedicata una pagina, che presenta una foto della confezione giapponese e una descrizione. Quest’ultima non è una didascalia di quelle buttate lì a contorno dell’immagine, come spesso accade nei libri fotografici di “più alta caratura culturale”. Il testo è curato da Steve Jarratt, giornalista di lungo corso e rinomata esperienza, fondatore delle riviste Edge e Total!: descrive in cosa consiste il gioco e commenta l’artwork della copertina, rendendo il libro adatto anche a illustratori e chi è interessato all’art design.

La grafica per Biometal ne è un esempio: un semplice spara-tutto merita un’illustrazione dallo stile inusualmente astratto, tra il puntinismo e la stampa a matrice di punti, che rende bene un senso di “alieno” e di minaccia. Biometal non è un “semplice” spara-tutto, ma è un “cult” del genere, diventato una rarità  anche in Giappone a causa di una produzione di un numero assai limitato di copie.

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Biometal. Mette ansia.

Le immagini sono eccezionali: si tratta spesso di illustrazioni capaci – per stile, tratto, colori, soggetto – di fare scattare il chiavistello alla porta oltre la quale l’immaginazione inizia a creare il mondo in cui vogliamo provare l’ebrezza della velocità di una Formula 1, l’ansia di un salto oltre un baratro, la tensione di una sparatoria, la paura di un corridoio buio, l’adrenalina di una scazzottata, la sfida di una partita di calcio.

A ogni pagina, mi sento come Link quando apre uno scrigno.

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The Legend of Zelda: Ocarina of Time (Nintendo 64)

Queste immagini sono così distintive dell’arte giapponese, utilizzata per illustrare le confezioni dei videogiochi, da non relegare il potenziale interesse e valore aggiunto solo ai fan Nintendo: il libro è imperdibile anche per chi nutre la passione per il medium e vuole percorrere, per la prima volta, la storia della produzione per i 16-bit oppure, per chi già l’ha vissuta, rituffarsi in quel periodo. Questo libro unisce le opposte fazioni, “Nintendo vs Sega”, all’epoca impegnate in una futile quanto accesa “console-war” sulle pagine delle riviste specializzate, tra rubriche della Posta e recensioni molto soggettive (ogni allusione a TGM è puramente voluta). Chi ricorda la diatriba su Street Fighter II se fosse meglio la versione per Mega Drive o Super Nintendo, ha sbloccato il trofeo:

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Adventure of A Lifetime

Prima la pirateria, poi la distribuzione digitale ovvero il consumismo del tarocco e poi quello a scrocco, hanno fatto dimenticare che un videogioco non è solo un circuito stampato, ma è molto di più: lo scarto del pacchetto, la confezione girata e rigirata tra le mani, l’aggressione del cellophane protettivo o del sigillo adesivo, che resiste e più volte ti scappa tra le dita fameliche. Giuri che non ti mangerai più le unghie, ma tanto Dio non ti ascolta e allora giù bestemmi perché è una lotta impari. Finalmente liberi la confezione dal cellophane, pianti due dita sul bordo dell’apertura e t’lac, quel suono è un preludio di goduria: ti assale l’odore del librettino delle istruzioni, lo sfogli inalando l’odore come fosse colla per lo sballo a basso costo. Inizi un viaggio.

Agguanti la cartuccia e la infili delicatamente, ma con determinazione nello slot, accendi la console (mai inserire la cartuccia a console accesa) e bam! Appare il logo Nintendo o risuona il gingleSeeeeegaaa“.

Si  illumina quel teatrino del cervello e affiora uno stato emotivo descritto dallo scrittore francese Stendhal in visita alla chiesa di Santa Croce a Firenze:

“[…] ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.”

Dragon Quest, una serie di RPG di enorme successo è rimasta a lungo confinata in terra giapponese. Nel libro è presente tutta la produzione su SNES: solo l’artwork è sufficiente per farti viaggiare nella Terra di Mezzo con gli occhi a mandorla. Altrettanto per Final Fantasy, più famosa in Occidente, perché “sdoganata” con il magnifico capitolo VII sulla prima PlayStation. Oggi, le due software house di Dragon Quest (Enix) e Final Fantasy (Square) sono un un’unica azienda, Square Enix Holdings Co. Ltd. Qualcosa è andato irrimediabilmente perduto.

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Dragon Quest, una serie di RPG di enorme successo

Le confezioni dei videogiochi giapponesi erano generose in fatto di libretti di istruzioni, mappe, compendi e altre amenità, che raramente giungevano a essere distribuite in Occidente. La veste grafica era fuori scala per i nostri standard, in alcuni casi inconcepibile per il nostro mercato bigotto. Aguzzate la vista su un paio di prosperose donzelle sulle immagini di Ghost Chaser Densei e Ghost Sweeper Mikami e capirete che ogni maledetta associazione di genitori, parroco di quartiere, scartina di parlamentare avrebbe scatenato l’Inferno contro il distributore.

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Donnine discinte. Italiani bacchettoni

Altrettante sopracciglia si sarebbero alzate alla vista di questa meraviglia gommosa delle illustrazioni di Kamen Rider e, come se non bastasse l’edizione “normale” già parecchio caricaturale per noi occidentali, anche la versione “super deformed”, Kamen Rider SD Battle. Oggi lo chiamerebbero “trash”. Ma è solo un’etichetta per vendere roba che – nella maggiore parte dei casi – è invendibile. Kamen Rider può non piacere – se da piccoli non avete mai provato a imitare Megaloman, posso comprendere – ma in Giappone è una serie televisiva enormemente popolare, con oltre trentacinque anni tra remake, spin-off e seguiti.

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Kamen Raider. Mai tamarreide fu meglio assortita e ben presentata in un videogioco.

L’Occidente ha avuto – come per i manga e gli anime – una concezione che tende a relegare questi medium nella “stanza dei giocattoli”, a etichettarli come “roba per bambini” e “infantili”. Il dibattito è sempre stato acceso, ne trovate traccia e spunti per approfondire nel post “Arte nei videogiochi: vera o…supposta (digitale)?. Ciò traspare anche dagli “scempi” operati nel modificare la grafica della confezione secondo le esigenze – presunte o reali – del mercato occidentale.
Consideriamo Vortex – The FX Robot Battle. La prima copertina è giapponese; la seconda è della versione europea.

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Vortex (versione giapponese)
Vortex (versione europea)
Vortex (versione europea)

La copertina giapponese dà la sensazione di essere al comando di un robot antropomorfo formato palazzo-di-cinque-piani che ingombra un pochino, ma quando spara è un autentico castigo di Dio. Nonostante l’effettiva manciata di pixel su schermo, sei al comando di una mostruosità meccanica, accessoriata di un vasto campionario di “optional” di distruzione di massa, niente air-bag, fornitura di munizioni con TAG e TAEN a tasso zero, vernice metallizzata inclusa nel prezzo.

La copertina europea ha uno stile “giocattoloso” e ti rifila un robot armato di pistola spara-piselli e proiettili con ventosa.

Risultati altrettanto comici anche con il gioco del calcio: Perfect Eleven in Giappone (prima foto), giunto in Europa con il titolo International Superstar Soccer (seconda foto).

Perfect Eleven (versione giapponese)
Perfect Eleven (versione giapponese)
International Superstar Soccer (versione europea)
International Superstar Soccer (versione europea)

La copertina giapponese comunica agonismo, dinamismo, la sfida. Quella europea è piatta: le immagini dei giocatori scopiazzate male dalla bustina delle figurine Panini e il portiere è il risultato di una tavoletta grafica messa in mano a un bambino di cinque anni, affetto da delirium tremens.

Se guardando il vostro Super Nintendo vi si dipinge in volto un sorriso (che potete vedere solo voi) oppure provate un certo senso di rimorso perché l’avete venduto, questo è un bel modo per dimostrare la vostra riconoscenza per una macchina – sì, proprio una macchina – che vi ha regalato pomeriggi di chiassose riunioni con i vostri amici e notti di solitarie avventure in mondi che aspettavano solo voi per diventare importanti e reali nella vostra camera illuminata da una luce sfarfallante, prodotta dal continuo ridisegno dell’immagine cinquanta volte al secondo su un tubo catodico. Scorrendo le pagine, correte il rischio di incontrare un bambino felice con un joypad tra le mani: siete voi.

Super Famicom: The Box Art Collection non è solo un libro curato nella forma e nei contenuti, ma è una “macchina del tempo: averlo, ammirarne le immagini, leggerlo è l’esperienza più vicina ad avere posseduto la console, la cassetta inserita nello slot, e giocato fino a che genitore o genitrice non ti abbiano minacciato di diseredarti. Va perfino oltre: quella cartuccia che non hai mai potuto permetterti, quella cartuccia di cui solo ora scopri l’esistenza, diventano improvvisamente parte della tua personale collezione. Prima o poi…

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Titolo: Super Famicom: The Box Art Collection

Lingua: inglese
Anno: 2016 – Edizione: Bitmap Books – Curatore: Steve Jarratt
Pagine: 276 – Formato: 250 x 250 mm – Copertina rigida in Wibalin® grigio carbone e logo del titolo in lamina d’oro, stampa litografica, brossura in filo refe.

In vendita presso: Funstock e Bitmap Books a 24,99 GBP + spese di spedizione.  Su Amazon.it il prezzo più basso a 24,07 euro. Prezzi rilevati il 21 giugno 2016.

Onda sonora consigliata: Adventure of A Lifetime di Coldplay

10 pensieri su “Super Famicom: The Box Art Collection

    1. Per gli appassionati e’ un must! La recensione e’ con passione per i non appassionati. Il libro è un bello spaccato di arte e modo di illustrare giapponese, in cui si coglie – anche in un videogioco – la differenza con quella occidentale. Anche questo per me è serious gaming:un modo per aprire i propri orizzonti, per scoprire qualcosa di nuovo, arricchirsi. Grazie per la visita e commento!

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  1. Caro Claudio, ne é davvero passata di “acqua sotto ai ponti”, dall’ultima volta che ho commentato uno dei, vedo tanti articoli. Come ben sai , di certo non é stato per mancanza di stima nei tuoi confronti: ben la meriti! Dopo aver letto il tuo primo speciale sul Snes, ieri , allo stremo delle forze, ho avuto solo il tempo di sbirciare questa seconda parte, che attendevo con interesse… Sorpresona!!! Ma che fai, amico mio, Mó mi diventi pure serio??? Chiaramente scherzo! Bellissimo articolo, con evidente sorpasso a tutta velocità e senza freni sulla destra con annesso sberleffo dal finestrino!! Ohé , io nel mio piccolo, mi sono sempre ritenuto una piccola autorità in ambito videoludico, uno che il Sness lo “Rivolta come un Calzettino!”…E tu invece cosa mi combini?? Mi propini uno Spiegone\ Recensione dove mi nomini alcuni titoli di cui neppure sapevo l’esistenza, con la pacata ed autorevole sufficienza del vecchio professore Oxfordiano, che “Questi ragazzi non impareranno mai!!” …. Per altro con una proprietà sintattica e una competenza specifica in termini di stampa( cit. ..A matrice di punti…e un bel Me cojoni, no? ) che francamente, mi lascia un poco interdetto!?? Ahò , no me fá sti scherzacci, frá (chiedo venia ai tanti simpaticisimi amici romani che ho, stó solo improvvisando..) , che me fai Ppaura!!! Ma solo a me continuano a intrecciarsi, frasi, periodi e concetti, in faticosi e vorticosi sali e scendi , di dita e di idee come a fantozziana memoria?? No dai, fai il bravo! Un goccetto di buon amaro ad annebbiare memoria e idee, solo un poco mi raccomando , e poi , quando avrai scolato l’ intera bottiglia riprova…. A casino, possibilmente…… Perché se é sfida quella che cerchi… I’m back!!! Sottofondo a crescere, Eyes of the Tigger dei Survivor….dissolvenza..

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    1. Frate’ tranquillo, qui non ci si prende mai sul serio! Quando si parla di videogiochi però…No, neanche quando si parla di videogiochi. Questo libro però mi ha particolarmente preso e ho cercato di essere il più lucido possibile sebbene fossi annebbiato anche io da una moltitudine di perle che non ho mai avuto la possibilità di giocare o neanche mai sentito nominare. Diamine ma dove erano?!! E io dove ero?! Il tentativo – miseramente fallito nel tuo caso – e’ quello di trasmettere la magia dell’era 16-bit, sopratutto a chi non è una vecchia cariatide dei videogiochi come te e me.
      Ma poi non ho capito…La magia ti è arrivata o no? Bentornato frate’, bentornato…e ora vedi di non sparire per un altro anno.:)

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  2. Chiaramente si, Claudio! Impossibile scrivere una recensione così dettagliata e particolareggiata senza che agli occhi del lettore non arrivi, evidente, la passione che la muove. Commentavo in forma chiaramente scherzosa! Devo però dire che un pizzico di meraviglia nel leggerti, l’ho avuta (in particolare in relazione alla prima parte, senzazione poi rinnovatasi nel leggere l’ep. n 11 di “Viva il Messico”…appena possibile, giurin giurello, torneró sui restati 10)! É passato ormai un anno da quando ci siamo conosciuti, un’anno in cui per vari motivi, sono stato assente dal tuo blog. Al principio, trovai nella tua dialettica, nella tua forma di scrivere, di esprimere sentimenti e concetti, più di una assonanza con la mia. Era come se, posto che io riesca a spiegarlo in maniera esatta, la passionalitá, l’irruenza , la “partecipazione” nell’esposizione dell’argomento di volta in volta trattato, prendessero il sopravvento sulla forma , sulla sintassi, aggredendola , stravolgendola piegandola al volere del “concetto”. Non che la cosa sia ora differente, non che sembri che il tuo scrivere non sia sentito…Tutt’altro! Sei probabilmente arrivato (non ne avevo dubbi, avvisaglie molto concrete già ne avevo avute allora) ad un punto di, se vogliamo e magari é solo una mia impressione, “giusto equilibrio” stilistico ed emotivo. Di più, aggiungerei: sai passare secondo il momento e la necessità, da un estremo all’altro, evitando però gli eccessi di entrambi. É davvero un piacere leggerti! Forse sarebbe il momento per te di passare a qualcosa di più, se vuoi, ambizioso, seppur non trascurando questo tuo magnifico blog…..Libretto? Ciao frá 🙂

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    1. Eh eh l’avevo capito il tuo tono scherzoso, ma vista la tua prolungata assenza (mi sei mancato!) non ho resistito alla tentazione di tirarti un vile giochetto! Troppa la tentazione di estorcerti un altro commento…Magari sparivi un’altra volta 😉 Su come mi descrivi nella prima parte del commento mi ci ritrovo tantissimo: sono io. D’altra parte perché ti chiamerei “fratello di joypad”! Non sono cambiato: mi trovi in modalità Pindaro in versione pirla scartabellando appena un paio di post fa quando si parla di cuculi e killer.Come si dice dove sei tu: mi casa es tu casa. E di questo stai certo. A questo punto stappo la migliore bottiglia di grog che sia passata in questa webbettola e me la scolo…

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