Purple pain


purple rain

E anche il folletto di Menneapolis ci ha lasciato.

Questi primi mesi del 2016 saranno ricordati per il numero di artisti musicali, che hanno lasciato questa “valle di lacrime” e, durante la loro permanenza, l’hanno resa migliore: “Il Duca” David Bowie; il chitarritsta e fondatore degli Eagles, Glenn Frey; Black, al secolo Colin Vearncombe, autore di una famosa hit degli anni ’80, Wonderful Life; uno dei pionieri del rock psichedelico, Paul Kantner, chitarrista dei Jefferson Airplane; Maurice White, fondatore e leader degli Earth, Wind & Fire; un simbolo del progressive rock, Keith Emerson, che diede vita agli Emerson, Lake & Palmer; il 21 aprile, Prince.

Nell’estate del 1984, un film dal piccolo budget (7 milioni di dollari), spunta dal nulla e altrettanto inaspettatamente al suo debutto scala la classifica del box-office al primo posto, spodestando il Re incontrastato delle sale, un certo “Ghostbusters”. Da questo momento, il nome di Prince, al secolo Rogers Nelson, diventa parte dello star system e a noi, “consumatori” di musica, imprescindibile presenza e più familiare. Il film è “Purple Rain”.

Un mese prima del debutto cinematografico, Prince aveva pubblicato il disco “Purple Rain”, che è la colonna sonora del film, e insieme diventano, non solo imprescindibili per i fan,  ma dei veri e propri classici: “cult” da vedere e ascoltare.

Nell’estate del 1984, Ronald Reagan è quasi alla fine del suo primo mandato presidenziale e l’Unione Sovietica è “l’Impero del Male”, un conflitto tra super-potenze che è una divergenza politica in cui i comuni cittadini, più che riconoscersi, sono “pedine” e vittime predestinate, come canta Sting l’anno dopo in “Russians” “[…]Russians love their children too[…]” (“anche i russi amano i loro bambini”). In questo contesto, la musica di Prince è una boccata di aria fresca: allevia, rinfresca, nuova, rigenerante.  

Il film è esattamente questo: musica rigenerante e dialoghi banali.

Oggi, all’indomani della sua morte, il film è un’ importante eredità lasciata alle generazioni future, che in poco meno di due ore concentra la sua biografia, la sua identità musicale e singolarità come uomo.

Dal punto di vista cinematografico “Purple Rain” non è un capolavoro né di trama né di recitazione, anzi potrebbe indignare i più a causa di certi comportamenti misogini.

Prince è Kid, un giovane cantante di talento, che si esibisce con successo in un night con una band di amici e un paio di ragazze, che lo accompagnano nel ballo durante le esibizioni canore. Il successo nella musica, non va di pari passo con la vita familiare a causa dei litigi tra i genitori: il padre, musicista mancato, è un violento. Kid incontra una cantante, Apollonia (interpretata da Apollonia Kotero) e ne nasce una storia: l’attrazione tra i due è reciproca, forte, travolgente. Kid, però, rovina tutto:  maltratta la ragazza, nei suoi confronti ha modi strafottenti e bruschi, le alza le mani addosso. Così Apollonia decide di esibirsi con gruppo funk rivale, il cui leader, Morris, userà la donna come “trofeo” ostentando a Kid il suo successo con sprezzo e provocatoriamente. Kid entra in uno stato depressivo, anche la sua carriera musicale ne risente, e culmina con l’ennesimo litigio dei genitori, che finisce con l’accidentale morte del padre. La morte del padre rappresenta per Kid un momento di riflessione. Nello scantinato della casa dei genitori Kid rinviene le partiture del padre e ciò gli permette di scuotersi, ritrova estro e fantasia, l’amore e il successo.

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Oggi, è impossibile pensare a una pop-star che si comporti come Kid nel film. Avrebbe una carriera folgorata dal fuoco incrociato di opinione pubblica e ben pensanti del bon-ton giornalistico. L’essere brusco, il sistematico rifiuto dei consigli degli amici, il non fidarsi di nessuno, il travaglio interiore di Kid rivelano la sua lotta nel conciliare le sue alte aspirazioni di rock-star, peraltro legittime dato il talento, con le difficoltà e i limiti oggettivi della realtà, del quotidiano in amore e in famiglia; il ciclo notte/giorno, la contrapposizione tra vita notturna di successo e vita diurna deprimente.

I fan di Prince si sono impegnati per trovare il significato di questa potente immagine evocativa: “purple rain”, la pioggia viola; nel forum, indipendente e non ufficiale, dei fan, Prince.org si può scorrere il thread Can someone tell me what the hell is ‘the purple rain??? e leggere come alcuni hanno dato un’interpretazione apocalittica: la fine del mondo, un tema caro a Prince.  L’interpretazione si basa proprio su una dichiarazione del cantante: “When there’s blood in the sky – red and blue = purple” . Quando ci sarà sangue nel cielo, il colore rosso (del sangue) +  il colore blu (del cielo) = (pioggia di) colore viola.

E’ un’interpretazione tra il mistico e il misterioso, nello stile tipico di Prince, e poco accessibile al grande pubblico, interessato più a consumare la sua musica, piuttosto che compiere uno sforzo di empatia e comprensione del travaglio artistico del musicista, che ha dato origine alla hit.

E’ la musica a fare la differenza! Il film “Purple Rain”, senza quella eccezionale colonna sonora, può essere etichettato come “polpettone melodrammatico”, al pari di altri film di grande successo di quegli anni: in primis, i tre film musicali “Flash Dance” (1983), “Footloose” (1984) e “Dirty Dancing” (1987) , ma anche film di genere totalmente diversi come “Ufficiale e gentiluomo” (1982), “St. Elmo’s Fire”, il film  manifesto del Brat Pack (1985) e “Top Gun” (1986).

Tutti questi film hanno in comune la storia di uno o più personaggi in giovane età, che cercano l’affermazione della propria identità, barcamenandosi in situazioni familiari, lavorative o sociali avverse, e soltanto grazie a una tragica perdita di una persona cara o a un amore tanto travolgente quanto travagliato riescono a raggiungere un proprio equilibrio e approdare al tanto agognato successo. E’ il Sogno Americano secondo l’interpretazione degli anni ’80, un’era di consumismo  spinto al massimo, il successo e il benessere materiale come misura della felicità. Un Sogno Americano inseguito anche a costo di sporcarsi di sangue e fango come nel caso di Antonio “Tony” Montana (Al Pacino in “Scarface”, 1983)

Attraverso la musica, riusciamo ad andare oltre la facciata da tipo straffottente di Kid e percepire i moti convettivi delle sue emozioni, le sfumature di ombre che rimbalzano attraverso quegli specchi che sono i versi e le note delle sue canzoni. Purple Rain è e, dopo la sua morte, rimane l’unica grande opportunità sia per i fan sia per chi vuole avvicinarsi alla musica di Prince per comprendere la sua vera identità artistica, compresa tra “Prince – leggenda del pop”  e “Prince – uomo”.

“Purple Rain” centra l’obiettivo comune a un qualsiasi film musicale: scorrere tra le pieghe dell’intreccio, sottolineare i momenti topici e con la musica renderli maestosi e indimenticabili. Tutto il resto, personaggi, trama, recitazione è un contorno che si riempie di colore grazie alla musica. Il finale del film è emblematico: la redenzione di Kid in un trionfo celebrato con “i nove minuti di estasi pop” di “Purple Rain”.

Al contrario di altri astri del pop suoi contemporanei (Madonna, per esempio), Prince sa suonare. Se consideriamo il suo eclettismo nella composizione e la sua interpretazione, ancora oggi unica e distintiva, possiamo guardare oltre la sua aria sfacciata e il suo sfrenato edonismo, che tuttavia gli causarono parecchie antipatie.

Il talento di Prince risiede proprio nella sua capacità di “ingannare” o, meglio, di sorprendere: offre all’ascoltatore qualcosa che pensa di conoscere e ri-conoscere, ma poi lo spiazza, a volte dando la sensazione di irriderlo con i suoi gridolini e quel sincopato della voce che sembra proprio un singhiozzo. Tastiere dal suono elettronico che virano al funk, chitarre svisate e screanzate, la voce che ammicca sorniona, lussuria per nulla malcelata, capace di sferzanti timbriche e digrignamenti, ma anche sa essere carezzevole nelle ballate in cui raggiunge la perfezione dell’incanto.

“Purple Rain” incassa oltre 100 milioni di dollari (contro un costo di 7 milioni) e Prince vince l’Oscar nel 1985 per la migliore canzone sempre con “Purple Rain”. L’album omonimo resta in classifica per 21 settimane (battuto solo dal record di 28 settimane di “Thriller” di Michael Jackson) e vende a oggi solo nel mercato USA 15 milioni di copie. Numeri che quantificano la dimensione del successo, ma forse il successo che farebbe maggiormente piacere a Prince Roger Nelson, sempre scettico verso il mondo mediatico e indipendente rispetto alle major discografiche, è questo:

oggi, 22 aprile, all’indomani della sua morte, in ufficio, di tanto in tanto, ora da una stanza, ora da un collega di passaggio, si udiva un refrain noto “purple rain… …purple rain”, qualcuno addirittura accenava nella voce una distorsione di chitarra tra un “purple rain” e la sua ripetizione.

Nella mia testa, invece, risuonava senza poterlo mandare via, in loop quasi ossessivo

You don’t have to be rich
To be my girl
You don’t have to be cool
To rule my world
Ain’t no particular sign I’m more compatible with
I just want your extra time and your

Kiss,
Oh oh

Un bacio, dovunque tu sia, in viaggio o già lassù a guardarci dall’alto.

9 pensieri su “Purple pain

  1. Prince.
    “Il piccolo principe”, come qualcuno l’ha affettuosamente ribattezzato in questi giorni.
    E’ stato molto importante nella mia giovinezza musicale e non. Era uno stile, un’ispirazione, un sogno. Prima ancora di attraversare i testi, era la musica, la leggerezza, la varietà, la contaminazione. L’eclettismo, come hai giustamente sottolineato tu. I suoi concentri delle vere e proprie matriosche: una canzone dentro l’altra in rapida sequenza, secondo una precisa regia che non negava, ma regalava una preziosa forma di improvvisazione.
    Un perfezionista autarchico e esigente.
    Un professionista. Autodidatta e geniale.
    Autoprodotto, autonomo e indipendente, in tutto.
    “I’ve seen the future and it will be…”
    La sua musica era divertimento, scoperta, gioco, performance. Arte.
    [chissà che spettacolo il suo ultimo tour, “Piano and microphone”!]
    La sua immagine un’icona senza veli, né limiti.
    Già appartato e schivo, lo rimpiangeremo. Terribilmente.

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    1. Lo rimpiangeremo? Tu, io…i fan sicuramente. Ho trovato parecchia indifferenza mediatica. Sarà stata una mia impressione, ma a parte sparare subito la notizia della morte “avvenuta in misteriose circostanze” per poi rimbalzarla come “la solita” morte di un cantante tossico…Ieri sera, mentre tornavo dall’ufficio a casa, buoni 40 minuti di traffico, ho scorso tutte le stazioni radio FM per cercare uno di quei gridolini di Prince…Zer0. Solo partite di calcio, la Pausini (evidentemente in promo), radiogiornali con retorica sulla Giornata della Terra e altra fuffa inutile. Prince, la sua musica, il suo essere folletto, l’uomo ci mancherà terribilmente, sì! Non sono un fan, ma senza di lui non riesco a immaginare il mio “patrimonio musicale”, che è per me come il patrimonio di cromosomi: mi identifica, mi ci riconosco, contribuisce al mio Io, alla mia autostima, alla mia crescita e arricchimento. Ieri sera, mentre battevo questo post, è passata in TV in tardissima serata, neanche puoi chiamarla “seconda serata” un piccolo docu-film “fatto in casa RAI” su Prince, con immagini vecchie di repertorio e – per grazia di Dio – il testo scritto da un copy che almeno sapeva parlare di musica. E pensare che Badaloni, ex-speaker del TG, al passaggio del video di Kiss, all’epoca si indignò per il bon-ton televisivo…Ecco, se vedi dove siamo oggi. Mille volte meglio Prince. Prince ci mancherà, ci mancherà, ma ho paura che pochi se ne siano accorti…Posso continuare che ho le dita cariche, sul post ho dovuto trattenere il fiume in piena…Grazie Paolo. Let’s go crazy…

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      1. Hai ragione. Ignorato. Sfruttato solo per un piccolo scoop. Uno dei tanti.
        E aggiungo.
        Meglio così. Questo significa che non si è venduto, che ha preservato la sua arte. E’ rimasta sua, non puro ludibrio dei media e della macchina commerciale (ricordi la sua frattura, già nei primi ’80 con la W. Bros per la fondazione della sua mitica “Paisley Park”?).
        Meglio uscire di scena in silenzio, sottovoce, piuttosto che – la dico come lui – “fottersi”.
        Molto meglio.

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        1. I miei compagni di viaggio, tra cui mio fratello sono del tipo “dita stitiche alla tastiera”. Li avviso puntualmente con un msg su What’s Up. Frank risponde entusiasta e mi fomenta. Diego non batte colpo, ma sul profilo di What’s Up ha messo una nostra foto tutti insieme in Messico, mio fratello è il classico caso di “nemo propheta in patria”, ma apprezza, lo so. Tutti hanno accolto a loro modo questa mia decisione – in fondo unilaterale – di condividere il viaggio. Va bene così.

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  2. Il folletto o il Piccolo Principe è uscito di scena scivolando via dalla vita in silenzio ma il suo straordinario talento continuerà negli anni a far rumore. Un rumore sordo, un ritmo sanguigno come lo sanno essere quei brandelli di sofisticata musica contemporanea destinata agli eletti che hanno apprezzato, capito ed amato un personaggio trasformista eclettico dotato di una prodigiosa creatività.
    Ascolto ancora una volta “Purple Rain” dimenticando i milioni di copie vendute dell’album e i miliardi d’incasso per il film. Voglio concentrarmi su un autentico capolavoro planetario, su una vena felice difficile da eguagliare e dire in silenzio “grazie folletto per aver creato con la tua intuizione una nuova forma d’arte”.
    Buon 25 aprile, un caro abbraccio

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    1. Si’ Affy, lasciamo perdere i milioni di copie e i miliardi di dollari, euro o talleri…Il senso della mia citazione dell’aspetto quantitativo e’ proprio questo: è marginale rispetto al contributo di emozioni che Prince ha regalato a ogni singolo individuo e alla Musica. Non è però marginale rispetto al silenzio mediatico: anzi è una totale mancanza di rispetto nei confronti di chi ha dato così tanto. E la mia indignazione e’ tale non già per la memoria di Prince, che se ne sarebbe strafottuto, bensì per le nuove generazioni che non hanno potuto vivere quel momento storico di guerra fredda, di tensione e incertezza in cui la musica è il modo di essere di Prince hanno deflagrato una reazione – questa si! – atomica e il relativo fall-out di emozioni. Se n’è andato in silenzio, ma la sua musica deve continuare a risuonare per tutti: è’ un patrimonio che non possiamo lasciare scorrere oltre. Fuck the Biz! Enjoy the fucking music!

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