Nostalgia, nostalgia…davvero così canaglia?


Attic (La soffitta) di Willem de Kooning (1949) esposto a The Metropolitan Museum of Art, New York
Attic (La soffitta) di Willem de Kooning (1949) © The Metropolitan Museum of Art, New York

Un vecchio baule dimenticato nella soffitta. Inizio a rovistarvi dentro.

Ci infilo le mani, prima timoroso di sporcarmi le dita di polvere e fuliggine, poi risolutamente vi affondo i palmi, i polsi. Infine, mi inginocchio e vi scompaiono dentro anche gli avambracci.

Rischio di finirci dentro, il mio baricentro ormai spostato in avanti, tutto il peso del corpo proiettato verso il fondo, ancora nascosto, del capiente e colmo baule. Mi aggrappo inconsapevolmente con le ascelle poggiate a cavallo del bordo, come ganci e moschettoni tengono lo scalatore in bilico tra la parete e il precipizio, tra la solidità della roccia e l’illusione di volare.

Nella casa dove vivo, non ho soffitta. Gli anni corrono e la mia umidiccia scatola cranica somiglia sempre più a una soffitta. Da due strette aperture penetra un pò di luce, sufficiente a illuminarne una piccola porzione e lasciando al buio o penombra grande parte di essa. La polvere sospesa, lieve e molle nel suo inesorabile ricadere a terra, assorbe e riflette le schegge di luce: sembra neve dorata. O porporina lanciata da un bimbo improvvisatosi mago che simula un altrettanto improvvisata magia. A tratti disorienta. blocca ogni altra percezione, a eccezione di quello che è più di un istinto, sepolto ma sempre all’erta, pronto a balzare in caso di sopravvivenza: nelle parti più in penombra, si nascondono trappole mai scattate, situazioni non superate, gioie mai più ripetibili.

Eppure è così forte l’attrazione a ritornare in “soffitta” e rovistare tra i bauli e cataste ammonticchiate di cose impolverate, malmesse, dimenticate per così tanto tempo che sarebbe stato meno crudele buttarle. Ma che cos’è quel nodo in gola che mi assale? Che cos’è? No, non è la polvere. Nostalgia nostalgia, ma davvero così canaglia?

Nostalgiaè l’unione di due parole che vengono dal grecoνόστος (nόstos), cioè “ritorno” e άλγος (άlgos), cioè “dolore”, “tormento”.

Il nόstos è tra i motivi più ricorrenti della letteratura greca: è il viaggio di ritorno in patria di uno nel viaggio di Ulisse nell’Odissea, di molti nell’Anabasi di Senofonte. Il viaggio non serve al protagonista, l’eroe, a raggiungere un luogo, un obiettivo, una meta attraverso l’avventura, le peripezie, l’ignoto. Il viaggio è funzionale al “ritorno”, cioè a ricondurre l’eroe, sano e salvo a casa, al suo punto di partenza, arricchito dell’esperienza e della conoscenza.

Questa evoluzione è rilevabile solo ritornando lì dove l’individuo possa riconoscere la sua identità e il mutamento è misurabile solo dal confronto con il punto di partenza.

Le due parole, nόstos e άlgos, convergono in una sola, densa di concetti sfumati e complessi: nostalgia.

Un desiderio, una volontà tormentata di tornare indietro nel tempo per riviverne attraverso i ricordi. Un ritorno illusorio, con un sottofondo di malinconia, dapprima strisciante, sempre più prepotentemente invadente, via via che si realizza che “quella volta” non è più replicabile sia per intensità emotiva sia per opportunità di ispirazioni.

Spesso al risveglio si sperimenta la disorientante sensazione di avere sognato e tuttavia di non ricordare nulla; durante la  giornata si verifica un evento o si assiste a qualcosa che riporta in un istante alle immagini del sogno fatto la notte precedente. Tuttavia, per quanti dettagli si possano disvelare all’io-vigile, si avverte una sensazione di “dèja vu” con la malinconia e rassegnazione di non riuscire a replicare esattamente il sogno, di non riuscire a tornare a rivivere quelle sensazioni, così naturali e chiare all’io-incoscio. Come la nostra consapevolezza durante i sogni è diversa dalla coscienza sveglia, così nel rovistare in soffitta i ricordi sembrano comunicare meglio con la nostra identità di quanto siano capaci di trasmettere le cose dell’oggi: appaiono più intensi e reali della realtà. E sulla fragilità dei sogni suggerisco di fare visita a Paolo.

“In quel teatrino del cervello che teniamo illuminato tutta la notte” (cit. Robert Louis Stevenson in A Chapter on Dreams) accade una reazione a catena, che costringe la mente razionale a tenere testa alla memoria, che spara ricordi e sensazioni contro il muro della scatola cranica, come palle di baseball sparate in automatico da una di quelle macchine per l’allenamento alla battuta, come si vede nei film americani. Ti affanni a riceverle e ribatterle, ma alcune sono troppo veloci, potenti, dalla traiettoria inaspettata: dopo 3 o 5 palle finite oltre la tua linea di battuta, dipende del gestore della “sala-giochi”, è “game over”.

Un muro e una palla. Ora si fa chiaro il richiamo in soffitta. L’inizio di tutto. Fine anni ’70. Estate. Mio padre, mia madre, mio fratello. Mia sorella non era ancora nata.

Anno nuovo, ma certi giocattoli vecchi in soffitta non ci vogliono proprio andare.

A breve, su queste pagine, se ne avrete la voglia e vi mostrerete generosi con questo blogger, il racconto della mia piccola anabasi – che Senofonte mi perdoni – in Da Breakout a Wizorb. Another brick in my wall

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Onda sonora consigliata: Nostalgia di David Sylvian

Voices heard in fields of green
Their joy their calm and luxury
Are lost within the wanderings of my mind

I’m cutting branches from the trees
Shaped by years of memories
To exorcise their ghosts from inside of me

The sound of waves in a pool of water
I’m drowning in my nostalgia, nostalgia, my nostalgia

The sound of waves in a pool of water
I’m drowning in my nostalgia, nostalgia

My nostalgia, my nostalgia, my nostalgia

15 pensieri su “Nostalgia, nostalgia…davvero così canaglia?

  1. Molto interessante. E molto personale. Grazie della nitida ricostruzione etimologica, del ripercorrere e ricordare. Del tuo sguardo all’indietro. E delle belle immagini, che in un modo o nell’altro possiamo compartecipare.
    Ovviamente attendiamo con curiosità il prosieguo, l’anabasi e il racconto.

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      1. E va bene così! E’ quella parte viva, palpitante, sincera, vera che nei tuoi scritti coinvolge e avvicina. Il sentimento. Che arriva in immagini, a volte ironiche e ilari, a volte malinconiche e nostalgiche, appunto. Insomma, io penso che, per quanto polverosa, tu abbia una bella soffitta da esplorare.

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        1. Ti ringrazio per la “bella soffitta”, ma vedessi il resto della casa…E’ un grna disastro 😉 . Ultimamente, girando per la blogosfera, mi sto ricredendo sulla forza della “sincerità”: cercare di essere autentici sulla Rete, è un’idea stupida.

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          1. Un bel tema, certo. Non ho una grande esperienza, anzi. Tuttavia, avverto una sorta di rischio in questa circolazione di pensieri, emozioni, parti più o meno accessibili di sé… Mi piace pensare che ogni blogger abbia qualcosa da dire e condividere, che per questo sia qui, che per questo, non per altro, abbia cominciato a riempire bottiglie di pensieri, immagini, suoni e parole, per affidarle alle onde del web. Ma sono certo che non sia sempre così.

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    1. Ah Paolo, visto che stai da queste parti, avevo pensato di citare il tuo ultimo post in questo. Nel punto in cui scrivo “Come la nostra consapevolezza durante i sogni è diversa dalla coscienza sveglia, così nel rovistare in soffitta i ricordi sembrano comunicare meglio con la nostra identità di quanto siano capaci di trasmettere le cose dell’oggi: appaiono più intensi e reali della realtà.” Avrei voluto chiosare così “E sulla fragilità dei sogni suggerisco fi fare visita a Paolo” linkando al tuo ultimo post.
      Te lo chiedo, perché ultimamente mi sono imbattutto in dei blogger che hanno dato delle risposte che mi hanno lasciato basito…forse sono invadente con il mio stile scanzonato, caotico e autoironico, quindi chiedo a te il permesso. Libero di scegliere eh? Il tuo diniego lo accetto e comprendo. ‘Na rispostaccia se faccio un link senza chiedertelo, mi farebbe rimanere male.

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        1. Evualà! Secondo me, il tuo post ci sta daDDDio a chi vuole seguire quel sentiero che ho accennato sui sogni. Nel mio cammino sulla tastiera, mi piace segnalare più sentieri e se il lettore mi abbandona per una strada diversa, sarei felice se tornasse per raccontarmi cosa ha visto, sentito, udito. Posso seguire solo una strada, ma in verità mi piacerebbe seguirle tutte.

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            1. No, che grazie!? Grazie a te e non è un salamelecco. Pensaci bene: se un navigante pproda qui, inizia a seguire su questa spiaggia bianca delle piccole orme…A un tratto vede delle orme che portano in una foresta, segue quel sentiero e…Arriva da te, da Gatsby e Fitzgerald. Credo che si troverà bene: una bella pozza d’acqua e una cascata con tanta frutta fresca pronta per essere colta dai rigogliosi alberi. Sarà grato a te e anche a me che ce li abbiamo portati o no?

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  2. Tu sai quanto mi tocca un tema come questo. Poi Sylvian è maestro. Io credo che sia sempre necessario andare avanti, viaggiare e poi tornare, perchè credo che allo stesso tempo sia importante custodire bene la propria soffitta non darle fuoco e buttare via le ceneri. Chi sei oggi è anche merito di quella stanza.

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    1. Parole sante, Mastro! La Memoria, a cui è strettamente legata la Nostalgia, viene sottovalutata e considerata come un disvalore in una società proiettata nel futuro, ma che non è capace nemmeno di gestire il presente (vedi Clima e “cultura” dell’Emergenza). A breve ricorre l’anniversario della Memoria dell’Olocausto e puntualmente c’è chi nega o sminuisce dei fatti storici tremendi. La Memoria serve a non farci rifare gli stessi errori. Un trial & error che pure noi mentecatti videogiocatori impariamo ad apprezzare. Mai possibile che la gente adulta e più matura di “noi” non lo capisca? Grazie Mastro.

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    1. Sarà che io non ho ancora raggiunto quella consapevolezza…da adulto;) Ho una memoria “fotografica”, nel senso più analogico del termine, cioè quando l’immagine veniva catturata dall’obiettivo e impressionava la pellicola. Il mio “Best of…” – quest acompilation a una certa età tutti la fanno, sopratutto a Natale – ha indelebilmente impressionato testa-cuore-viscere: ogni volta che mi capita di ripercorrerne gli episodi, tutto ritorna con un’intensità forte e ancora ricca di tanti piccoli dettagli, che mi viene il sospetto di essere di discendenza giapponese. Dettagli insignificanti per gli altri, ma che con la “consapevolezza adulta” assumono per me una spiegazione e, pertanto, ancora più valore, oltre a quello emotivo. Ognuno di questi momenti rappresenta un tassello in quello stramaledetto puzzle di n-mila pezzi, regalatomi per il giorno del primo compleanno, che – sebbene non avessi mai chiesto – devo completare per non fare dispiacere a chi me l’ha donato: mamma e papà.
      Il problema di questo puzzle è quello di tutti i puzzle con n-milioni di pezzi: non riesci a concluderlo in poco tempo e lo lasci sul tavolo per completarlo a più riprese. Così succede che pezzi vengono buttati all’aria, cadono inavvertitamente per terra, finiscono sotto il tappeto e, poi, ho mia moglie con la mania di spolverare. “Là spolvero solo io!” – gliel’ho detto mille volte – e invece no: mi sposta tutte le tessere e valle poi a rimettere come stavano. In mezzo a questo bailamme, i miei “Best Moments” – questa compilation la lancio a San Valentino – sono lì inamovibili, sono il nucleo di tessere, da cui ricominciare a rifare tutto da capo. Hai presente il “lievito-madre”?

      …Potevo usare questa ultima metafora di 4 parole senza panificare tutto ‘sta pasticceria di commento e facevo più-bella-figura. Ma allora, cara tiZ, avresti sbagliato blog 😉

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      1. no no va benissimo così, riesci a rendere l’idea con quel sarcasmo intelligente, con quella dovizia di particolari che coinvolge.
        Sai cosa? Se fino a qualche anno fa a rimembrar sentivo quelle farfalle nello stomaco, ora ci penso con serenità. È come dici tu a quest’etá è tutto più chiaro, quasi tutto trova una spiegazione o per lo meno la rabbia, la frustrazione lasciano posto ad un sorriso di compassione.
        ps: quel puzzle lì mi sa che non li completeremo mai 😉

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