Vita, morituri te salutant.


Vita da trincea. 22° Fanteria franco-canadese. Luglio 1916.
Vita da trincea. 22° Fanteria franco-canadese. Luglio 1916.

Dedicato a tutti i gladiatori nel vivere quotidiano.

Jack, Jim e Joe nella trincea sapevano che ora sarebbe toccato a loro saltare oltre quel mucchio di terra, che salvava la vita o finiva per ricoprire il tuo corpo morto, sempre ad avere un pò di fortuna che ne ritrovassero le spoglie. Era calato un pesante silenzio tra loro, interrotto apparentemente dai colpi di artiglieria che cadevano più o meno vicino. Se avessero chiuso gi occhi, non fosse stato per quel forte odore di metallo, polvere da sparo, fumo, urina e terra, si sarebbe potuto fantasticare di essere nel bel mezzo della più imponente festa di Capodanno.

Fuggivano gli sguardi. Sigarette in bocca, tiravano grandi boccate di fumo, ma non perchè fossero particolarmente nervosi. Il sistema nervoso aveva perso il suo equilibrio e funzione da un pezzo. Percepivano la fine vicina, all’unisono, come parti di un unico organismo; troppe erano le cose che avrebbero voluto dirsi. Troppo poco tempo a disposizione, non riuscivano a dare una priorità ai propri pensieri. Si accavalavano proprio come tutti quegli uomini ammucchiati a ridosso della spalla di terreno della trincea. Alcuni già morti. Vivi e morti, mischiati. Di lì a poco, al segnale convenuto, non si sarebbe notata la differenza. Tutta la vita per cercare di diminuire le differenze tra gli uomini, la morte appiattisce tutto; le basta un secondo e meno di un dollaro: una pallottola.

Joe ruppe il silenzio con un’espressione dell’antico dialetto della sua famiglia di migranti: ” ‘Nce vulesse ‘na bella tazzulella ‘e cafè…”.

Jack e Jim ormai ne avevano imparato il significato e, al cambio dei turni di guardia, era diventata la loro “frase in codice”, che significava: ritornare in seconda linea, allentare la tensione, mettersi intorno a un fuoco, preparare qualcosa che assomigliasse a un caffè e fumare una sigaretta, senza che un cecchino, individuando la luce della brace, potesse piantargli un colpo in testa. “Il fumo uccide”. Era scritto sui pacchetti delle sigarette. Credeteci. E’ vero.

Del fumo e delle sigarette, però, era rimasta scolpita nella loro memoria un’altra storia.

Durante uno degli avvicendamenti di truppe al fronte di cui avevano perso il conto, un soldato, incontrato per caso, come tanti che non avrebbero più rivisto, raccontò loro una storia di sigarette e fumo, che ancora ricordavano e cui ogni tanto vi si abbandonavano per quel suo malinconico sapore di casa, di una vita normale, di un amore perduto, mancato, bruciato, ma comunque fosse andata a finire, pur sempre “amore”. Una parola cancellata da molti, dimenticata da altri.

Mentre infuriava un temporale, colonne corazzate, mezzi e uomini bloccati dal fango, Jack, Jim e Joe avevano trovato un riparo di fortuna, quando sopraggiunse questo soldato, zuppo fradicio, sigarette incluse,  e chiese loro da fumare: finirono per fumarne diverse prima che la pioggia terminasse e le strade di ognuno tornassero a dividersi, ma non prima che questo soldato gli avesse raccontato questa storia che finiva proprio così: “il fumo nuoce gravemente alla salute, ma a volte è la sola compagnia che sopporti“. E questa, come tante altre in passato, era proprio una di “quelle volte”.

Jack sorrise o almeno il viso assunse un’ espressione, una smorfia che assomigliava a un sorriso. Jim afferrò la borraccia dove conservava quel liquido scuro somigliante a caffè, la scosse con un secco e unico gesto e disse: “Finito, ragazzi”. Apparve sul suo viso la stessa smorfia simile a un sorriso. bastò così poco per recuperare un pò di umanità, un po’ di quella complice condivisione che crea ponti tra sconosciuti, nonostante le distanze geografiche e le differenze di culture, colori della pelle, orientamenti sessuali e credo religiosi. Una piallatrice universale delle “differenze” per lo più artificiose e speciose, indotte e stratificate. Giuseppe, il papà cui il Signore affidò il suo amato Figlio, era un falegname: sarà un caso, ma la pialla è uno strumento essenziale di questo mestiere e arte.

Al riaffiorare di un barlume di umanità, Joe prese coraggio, nella vita-di-prima era sempre stato uno che tendeva a sdrammatizzare, a rischio di essere considerato un “pagliaccio”, così continuò con un’altra frase del dialetto dei suoi genitori, che anche Jack e Jim ormai capivano: “Ok, ma quando ritorniamo, voglio un caffè doppio e con le tre “C” “…I due compagni gli fecero eco: “Cumm’ Cazz’ Coce!”. Una muta risata scoppiò, tradita dal fumo della sigaretta che andò di storto a Jim, scatenandone una tosse convulsa.

In quel momento in cui Jim sembrava quasi dovesse lasciare questa valle di lacrime, portato via non già da una granata da 88, ma dalla tosse, apparve un giovane soldato, avrà avuto vent’anni Forse un paio di meno, ma la guerra faceva invecchiare anzitempo.

Il giovane soldato aveva la paura dipinta in volto. A parte alcuni usciti di senno, tutti in quella trincea avevano paura: i muscoli facciali, però, avevano da tempo smesso di mostrare le emozioni e rimanevano impassibili di fronte all’inevitabile, all’irraccontabile, a ciò che dovevano dimenticare semmai ne fossero usciti vivi.

Era trascorso un tempo particolarmente lungo da quando il segnale convenuto per l’inizio dell’assalto doveva essere dato. La recluta si aggirava per la trincea, interrogando e toccando i soldati in attesa e appoggiati stancamente come se fossero lì in ampio anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento e se la stessero prendendo con tutta calma. Sigaretta dopo sigaretta, ingannando il tempo. Il giovane soldato chiedeva a ognuno: “Il segnale non è stato dato. E’ passato un sacco di tempo…Forse, l’assalto è rimandato! E’ possibile, che dici? L’hanno rimandato? Non si va più…”. Disperato per una risposta che gli confermasse questa possibilità, una su un miliardo che potesse accadere, ma era disposto a crederci, ad attaccarvisi con unghie e denti. Bastava che uno, anche uno solo di quei veterani, gli dicesse “Sì, è probabile che l’assalto sia stato rimandato”. Nessuno gli rispose. Al più rivolgevano al giovane uno sguardo come i macellai guardano il bestiame mentre entra nel mattatoio.

Mentre Jim era in preda alla tosse per il fumo andato di traverso, Jack si ritrovò davanti il giovane soldato che, sopraggiunto nei loro pressi, aveva rivolto la stessa domanda, la stessa speranza che qualcuno finalmente desse la risposta che desiderava.

Jack, pragmatico, diretto, non incline a girare intorno ai concetti, nella vita-di-prima si sarebbe liberato velocemente del ragazzo, troncando la domanda con una secca risposta di verità, attesa o meno dall’interlocutore, ma questa volta non andò così: “Fratello – lo guardò negli occhi, inchiodandolo sul posto – vieni qui, fumati una bella sigaretta con noi”. Nel porgergli lo stropicciato pacchetto da cui faceva capolino la sigaretta del desiderio, capovolta proprio come tutto il mondo ormai sotto-sopra, il ragazzo si ritrasse.

Scosso da un inaspettato vigore, si eresse rivelando un fisico atletico, da invidiare, e con tono di rimprovero nella voce ribattè al veterano: “No! Non lo sai che è veleno?!? C’è scritto, sai leggere?…Quella roba ti fa morire di cancro!”. Jack rimase un attimo come di pietra, Jim e Joe temettero che sfoderasse la pistola e piantasse un colpo in testa alla recluta, tanto – per la nota pragmaticità di Jack – ormai il ragazzo era un cadavere che camminava ed era meglio fare cessare le sue pene ed evitare che – con la sua inesperienza – fosse la causa di prematura morte di qualche veterano.

Jack, come se qualcuno avesse premuto il tasto “play” dopo una lunga pausa, ritrasse la mano con il pacchetto, lo ripose in tasca e si rivolse nuovamente alla recluta:” <pausa> Hai ragione!…Ragazzo, sai che ti dico? Hai proprio una fottutissima ragione!”, gli sorrise a mezza bocca mentre nell’altra metà teneva appoggiata di lato la sigaretta, se la cacciò con due dita e la fece schizzare via. Il ragazzo ricambiò con un cenno di approvazione, lo salutò come si usa tra i militari e proseguì nella pervicace quanto disperata ricerca del Suo personale Sacro Graal. Sparì dietro l’angolo nel punto in cui la trincea curvava. Jack allora trasse il pacchetto dalla tasca, se lo portò alla bocca e con le labbra ne tirò fuori una sigaretta. Ripose il pacchetto e si accese la sigaretta nel gesto comune dei fumatori di accompagnare l’accendino e riparare la fiamma con l’altra mano. Così facendo, nascose il viso per alcuni attimi che parvero lunghissimi ai due compagni che lo osservavano incuriositi, ma incapaci di rivolgergli la domanda che occupava ormai lo spazio di tutti i loro pensieri. Jack ne capì al volo l’esitazione, prese una grande boccata di fumo, una perfetta “pausa” teatrale, e disse: “Embè? Che è quella faccia? Ci avete creduto?… …”. Gli sguardi si incrociarono ed erano pieni di gratitudine per i gesti e le parole che ognuno dei tre aveva compiuto o pronunciato, riempiendo di umanità quel silenzio insopportabile almeno quanto l’imminente strepito di urla dei colpiti e il crepitìo delle armi.

Jack fece il gesto dell'”occhiolino”, spontaneamente o a causa del fumo entrato nell’occhio destro, e i tre scoppiarono in una risata rumorosa.

In una trincea una risata risuona come “un segnale di disturbo rispetto all’informazione trasmessa in un sistema”, cioè un “rumore”.  Quel “rumore” fu di breve durata.

Il segnale fu dato in quell’istante. Si scatenò l’inferno.

Jack, Jim e Joe si rivolsero un ultimo solenne sguardo, come i gladiatori nel Colosseo si rivolgevano all’Imperatore e lo salutavano pronunciando le parole con la solennità consona a quelle che sarebbero state le loro ultime: “Morituri te salutant”.

Ai primi colpi di artiglieria caduti a ridosso della trincea, si alzarono terra, schegge di metallo, urla e fumo, fumo, tanto fumo…tantissimo fumo. Jack, Jim e Joe vi sparirono in mezzo. Fumo, fumo, tanto fumo…tantissimo fumo.

Fotogramma da Salvate il soldato Ryan
Salvate il soldato Ryan (c) 1998
Onda sonora consigliata: Queen of Peace …Perchè solo una donna può interpretare e portare la Pace.

di Florence and the Machines (c) 2015 How Big, How Blue, How Beautiful

3 pensieri su “Vita, morituri te salutant.

  1. jaco72

    Pezzo davvero incredibile, caro amico—Superbamente scritto e davvero denso di significati. Complimenti sinceri. Scusa se commento solo adesso e stringatamente ,ma vado di fretta dopo una giornata sicuramente complicata; ti assicuro non finisce qui, aspettati il peggio 😉 . Questo mio commento era solo un doveroso, piccolo (momentaneamente, non illuderti) omaggio alla passione e alla inventiva che puntualmente trasuda dai tuoi articoli; si, si può tranquillamente, oggi lo dimostri ampiamente, essere profondi e assolutamente non banali nel raccontare ed esprimere concetti ed emozioni. Spero solo che, possa servire da stimolo, ai tanti o pochi che più o meno casualmente ,passino di qua, a fermarsi un secondo, tirare un respiro profondo ( la quantità di nicotina e catrame da abbinarsi a suddetto respiro , correlata a gusti e preferenze di ciascuno di voi ) e commentare… Non si perde nulla, venghino Siore e Siori,Venghino!! Musica, ricchi premi e cotillon per tutti!!

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    1. E io ci aggiungo una bambolina, un peluche di minollo scala 1:1, un cuore gonfiabile fosforescente con le antenne. Jaco torna a farti un giro qui quando vuoi e puoi. L’ingresso è tutte le giostre lo pago io! Grazie.

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  2. Manu

    bavosone!!!!
    …ma che mi stai a diventà un romanziere???
    ho letto l’ultimo post del tuo blog e noto un deciso miglioramento nello scorrere della prosa quando ti cimenti nei racconti!
    Bravo!…in fondo m’hai intortata con le tue epiche epistole!!

    (unica osservazione…i nomi dei protagonisti mi ricordano un po’ troppo i 3 porcellini!)
    ;))

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