Life is (a) Journey


We find after years of struggle that we do not take a trip; a trip takes us.

Da “Travels with Charley in Search of America” (Viaggio con Charley) di John Ernst Steinbeck (1962)

Dalla forma arcaica francese di “jornee”, che deriva dal Latino volgare “diurnata” e ancora prima dal Latino “diurna” ovvero “razione giornaliera di cibo”, il termine “journey” in inglese indica l’atto del viaggiare da un luogo a un altro, la distanza percorsa, il tempo impiegato; in un senso figurato vuole significare un lungo e spesso difficile processo di cambiamento personale.

Journey, un videogioco per PlayStation 3, è tutto questo: un viaggio fisicamente individuabile in termini di tempo e luoghi e, allo stesso tempo, un percorso in una dimensione più intima e personale, attraverso le emozioni. Alla fine di questo viaggio, esiste una fondata possibilità di sentirsi diversi rispetto a come eravamo quando siamo partiti.

Il ricorso all’etimologia del termine può suonare come una saccente introduzione, in realtà l’origine e il significato della “parola” permeano ogni pixel di uno dei più emozionanti videogiochi di questa generazione che volge ormai al termine del suo ciclo di vita. PlayStation 4 e Xbox One sono ormai annunciate per il prossimo periodo natalizio, non sono compatibili con le precedenti piattaforme e quindi c’è il rischio di dimenticare una rara perla di bellezza, che andrebbe custodita e considerata come un gioiello, che si tramanda in famiglia, di generazione in generazione. Un gioiello da riscoprire in occasioni speciali, custode di emozioni senza tempo, che lega indissolubilmente passato e futuro: un “tesoro” , non solo per il valore intrinseco del metallo prezioso e delle gemme, ma soprattutto perché è un patrimonio affettivo di emozioni da preservare e trasmettere.

Aggiornamento: Journey è stato convertito per PlayStation 4 nel 2015 e PC Windows nel 2019.

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Journey è un videogioco pubblicato nel marzo 2012 da un piccolo sviluppatore Thatgamecompany per PlayStation 3, distribuito inizialmente solo in forma digitale tramite PlayStation Network.

Il 14 giugno, anche nella vecchia Europa viene distribuito Journey Collector’s Edition, cioè un’edizione fisica su disco, già sul mercato statunitense da circa un anno, che include tutti e tre i giochi realizzati da Thatgamecompany: flOw, Flower e Journey, appunto.

Tralasciamo i primi due, anche se le dita scalpitano per raccontare di Flower, altra perla di semplicità, ingegno e originalità, capace di generare un genuino senso di “meraviglia” come quello del bimbo che sperimenta le cose del mondo per la prima volta. Mi ha ispirato un racconto: Vita, morte e miracolo di un fiore.

L’inizio di Journey è spiazzante: mi ritrovo solo, in una landa desertica sconosciuta, senza la benché minima idea di dove io sia, come e per quale motivo ci sia capitato. Deserto là fuori, deserto dentro di me. Dopo lo sgomento iniziale, prende il sopravvento una sensazione di avere appena assistito a una “nascita” come quella di un neonato quando viene dato alla luce. Non so dove mi trovo, è uno shock, ho paura, mi viene da urlare ma non ho una voce, resto immobile, mi guardo intorno, mi calmo, tabula rasa, è tutto nuovo qui fuori, tutto da scoprire! Inizia il viaggio.

Come un bambino che cresce e inizia a sperimentare, così m’incammino tra le dune di un deserto dai colori tenui, quasi rassicuranti, ma la desolazione a perdita d’occhio fugano rapidamente ogni sicurezza per lasciare il posto a un senso di angoscia palpabile. Il luogo tuttavia è di una bellezza mistica, di quelle che ti attraggono fatalmente per il mistero che vi si nasconde. Ecco! Scorgo qualcosa in lontananza: una forma affiora dalle dune. Mi affretto a raggiungere quell’ unico salvifico punto di riferimento.

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Sulla sommità della duna si scorge qualcosa…

Sono tre lastre di pietra sprofondate nella sabbia, sono stele funerarie, votive o commemorative? Conoscerne lo scopo non ha molta importanza: sono solo delle rovine.

Non sprofondo definitivamente in un abisso di disperazione unicamente perché – raggiunta la sommità della duna, appare in lontananza un’ imponente montagna, quasi sospesa da una spessa coltre di nubi che la fa sembrare ben oltre la linea dell’orizzonte. Una colonna di luce ne diparte dalla sommità e squarcia il cielo come una spada infuocata: è Il Segno. Il viaggio mi si rivela e sono pronto ad affrontare lunghe camminate, scivolare come un surfista delle dune lungo i cedevoli declivi di sabbia, spiccare balzi leggeri nell’aria, tanto più lunghi e alti quanto più lunga è una magica striscia di tessuto che diparte del mio rosso caftano.

La sciarpa conferisce magici poteri

Un piccolo super-potere, già (d’altronde è un videogioco): il potere di sentirsi come “vento” è conferito al tessuto da particolari simboli luminosi, custoditi in luoghi a volte poco accessibili o nascosti, sparsi tra i resti abbandonati di palazzi, templi, colonnati e altre architetture in rovina, malinconica testimonianza della gloria e della caduta di un’antica civiltà. Vita e morte. Inizio e fine. Alfa e Omega. È un tema che si insinua nelle pieghe dei nostri pensieri ed emozioni, proprio come i sottili granelli di sabbia del deserto s’insinuano tra le vesti e la pelle di un tuareg.

Quale è il nostro ruolo in questo universale ciclo della vita? Siamo testimoni o salvatori?  Testimoni a futura memoria della caduta rovinosa di una civiltà perché “il loro grido era grande e il loro peccato era molto grave (Genesi 18:20)” ; oppure siamo il salvatore prescelto per compiere Teshuvah, il pentimento attraverso l’espiazione dei peccati e il ritorno a Dio? Lo scopriremo. Lo scopriremo al termine del viaggio.

In Journey non esiste un’interfaccia utente, non esistono improbabili “frecce”, “radar” o altro surrettizio indicatore che aiutino a raggiungere un qualsiasi obiettivo, non esiste un inventario e degli oggetti da utilizzare.

Il minimalismo nell’interfaccia e nell’interazione ha un effetto positivo sulla percezione del “sé” e del mondo virtuale: riduce il distacco tra sé e il proprio avatar nel gioco, aumenta l’”immersione”; modifica anche il modo di interagire poiché contribuisce a concentrarsi sul “viaggio”, a rallentare il ritmo, guardarsi intorno, a esplorare gli ambienti secondo il proprio ritmo e non – come spesso accade nei videogiochi – secondo quello imposto dagli sviluppatori del gioco.

Guardare il mondo intorno ci fa anche apprezzare i dettagli che ci saremmo persi nel rito frenetico delle solite azioni di un videogioco. Spesso ho sentito l’esigenza di fermare l’alter ego virtuale, dimenticarmi dell’obiettivo di “andare avanti”, fissare un punto di quell’orizzonte nello schermo e iniziare a muovere la “telecamera” di gioco con la stessa naturalezza di tutti quei movimenti, a volte impercettibili, di testa , collo e occhi, quando lo sguardo spazia sull’orizzonte reale.

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Fermatevi e godete di questo panomarama bellissimo

Tra i pixel di Journey sembra emergere un tema a me caro: nel vivere quotidiano sperimentiamo una frenesia e una velocità cui spesso non riusciamo a dare un senso, quante volte ci lamentiamo di “essere sempre di corsa” e tuttavia avere concluso poco o nulla?

Lewis Carroll in “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” (disponibile anche gratuitamente) descrive perfettamente questa situazione nel dialogo tra la Regina Rossa e Alice dopo una folle corsa:

[…] Alice si guardò intorno, sorpresa.

Ma mi pare che in tutto questo tempo non ci siamo mosse da quest’albero. Non c’è nulla di cambiato in questo luogo.

È naturale, – disse la Regina – che cosa avresti voluto?

Ma nel nostro paese, – disse Alice, che ancora ansava un poco – generalmente si arriva altrove… dopo che si è corso tanto tempo come abbiamo fatto noi.

Che razza di paese! – disse la Regina – Qui invece, per quanto si possa correre si rimane sempre allo stesso punto. Se si vuole andare in qualche altra parte, si deve correre almeno con una velocità doppia della nostra. […]

In Journey è il viaggiatore a scegliere i tempi del proprio percorso.

Che voi siate Robinson Crusoe, Indiana Jones o un viaggiatore del “week-end lungo”, Journey non deluderà le vostre aspettative, a patto che non vi trinceriate dietro le consuete e  schematiche tipologie di videogioco.

Journey è di breve durata (circa due, tre ore), ma ha il pregio che ogni volta che intraprenderete il “viaggio”, l’esperienza sarà differente.

La prima volta lo finirete d’un fiato, presto, troppo presto e rimarrete con la sensazione di non avere visto tutto e proverete un moto compulsivo a ritornarci. La seconda volta sarà per sfida ed voglia di esplorarne ogni segreto, ogni anfratto. La terza volta sarà per concentrarvi nella condivisione del viaggio insieme a un altro “viandante”.  La quarta volta vi sentirete ormai a proprio agio in quel luogo inospitale e intraprenderete di nuovo il viaggio desiderosi di proporvi come guide dei  “viandanti” più inesperti, accompagnandoli e aiutandoli lungo la strada.

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A questo livello di condivisione, anche nella narrazione, Journey assume una natura differente: il racconto assume in principio una natura autoreferenziale, come la maggiore parte dei videogiochi, per poi diventare più “liquido”, arricchendosi del contributo di chi vi partecipa.

Il modello di multiplayer è unico ed è genuina condivisione: si incontrano altri viaggiatori, ammantati di rosso, che sono spaesati come noi, appaiono quasi dal nulla e all’inizio vi domanderete chi siano: sono esistenze artificiali, beffardo effetto “Fata Morgana” giocatoci dalla CPU?

No, sono giocatori “in carne, ossa e pixel” proprio come noi, sconosciuti, senza un nome o un “nick”, scelti casualmente dal PlayStation Network e provenienti da ogni parte del mondo (ne scoprirete i nomi e la provenienza nei titoli di coda). Proverete allora conforto di un destino condiviso, entusiasmo per un incontro insperato, ancora angoscia quando abbandoneranno la sessione di gioco, lasciandovi di nuovo nella solitudine; aspetterete il vostro compagno quando rallenterà, potrete anche comunicare (sebbene emettendo un singolo suono), capiterà anche di ritrovarvi a camminare stretti l’uno vicino all’altro durante una tempesta di neve, come per sostenersi a vicenda e riscaldarsi. Tirerà fuori la parte migliore di voi, scaccerà ogni ombra di egoismo (o competitività) per lasciare spazio a un’autentica condivisione.

Nelle fasi finali, scalando la montagna, si attraversa una tormenta di neve. Mi sono quasi commosso quando, incontrato un altro viaggiatore, ci siamo aiutati a vicenda arrancando nella coltre bianca.

Ricorre nuovamente la domanda: siamo testimoni o salvatori?

Forse siamo qui per salvare e per essere salvati, insieme. La salvezza di sé non conta, la vera salvezza è comunione, solidarietà, generosità: la vera salvezza si ottiene insieme all’altro, al tuo prossimo.

Insieme ce la faremo ad arrivare alla fine del viaggio

Il multiplayer di Journey funziona allo stesso modo di quando, durante un viaggio in solitaria, ci s’imbatte in un altro viaggiatore, sconosciuto ma, dopo il primo scambio di battute, scoprite di avere in comune un tratto del vostro itinerario: senza nemmeno accorgervene e senza sapere chi è,  il solo fatto di potere condividere le esperienze risveglia entusiasmo, desiderio di conoscere, rivitalizza le aspettative e le speranze. Una situazione ben nota e ricercata da chi intraprendeva  il viaggio in treno per tutta l’Europa con il biglietto InterRail, un autentico “cult” ai tempi della mia adolescenza quando le compagnie aeree low-cost non esistevano.

Thatgamecompany ha realizzato Journey con diversi livelli di lettura della stesso “racconto”; il virgolettato è necessario perché l’intreccio narrativo è appena accennato e l’interpretazione è demandata al “lettore”, che in questo caso è anche “attore”. C’è un principio senza tante spiegazioni, una fine che è soggetta a più interpretazioni; nel mezzo il videogiocatore decide che tipo d’esperienza vivere, che tipo di significato assegnarvi.

Journey è un videogioco accessibile anche a chi maneggia un joypad con la stessa diffidenza con cui ci si appresta a cogliere il frutto di una delle piante più vendicative di tutto il pianeta: il fico d’india.

Se non avete confidenza con quell’aggeggio irto di levette e pulsanti con una quantità spropositata di combinazioni per le dieci dita di un essere umano, non dovete avere ansie: non esistono tentacolari combinazioni di tasti, i comandi sono ridotti all’osso e il ritmo del gioco procederà fluido senza punti in cui la difficoltà presenta picchi bastardi, perchè male bilanciata o così programmata per aumentare la longevità del gioco.

Un videogioco, accessibile a tutti nelle meccaniche e nei tempi di fruizione, è in realtà un gioco complesso di interazioni tra ciò che il giocatore già conosce e il significato di ciò che fa e di ciò che apprende. Journey è un processo cognitivo a più livelli, tuttavia è assolutamente facoltativo esplorarli tutti. Voglio dire: non è necessario giocarvi cercandone significati più o meno espressi, giocare a Journey per pura evasione è comunque cosa buona e giusta.

Non si corre il rischio – come succede con altri media – di provare disagio di fronte a certa spocchia di millantanti esperti che elegge a capolavoro assoluto quel film di un misconosciuto regista, pure tuttavia assurto a fama di “cult”. In quel cinema d’essai, in mezzo a quella sporca dozzina di spettatori, tu e la tua morosa – probabilmente unici paganti – siete liberi di urlare come il ragionier Fantozzi (Il secondo tragico Fantozzi – 1976) al termine del più classico dei classici “La corazzata Kotiomkin”: “è una cagata pazzesca!”.

Ma Journey non ricade in questa casistica e non solo perché la stampa specializzata e la blogosfera siano stati un coro di acclamazione internazionale a capolavoro assoluto e Thatgamecompany abbia raccolto un’abbondanza di premi e riconoscimenti. Ogni recensione non si sofferma sullo snocciolamento rituale della “finezza” delle texture, sulle tecniche di anti-aliasing, sull’uso delle illuminazioni, del post-processing e di effetti particellari. Non può perché, pure essendo grafica e musica pregevolissime, trasmette emozioni e ognuno che ne scriva si arrischia nei territori pericolosi dell’interpretazione personale, elabora contenuti non immediatamente evidenti o fruibili (forse anche non condivisi), legge tra i pixel, ci trova un messaggio. Insomma, ci espone e ci mostra il suo percorso in una dimensione più intima e personale: il suo viaggio. 

Non leggiamo un libro perché ha una bella copertina o una carta pregiata, ma perché ci trasmette emozioni e stimola il nostro pensiero. Ci apre la finestra su un altro mondo e ci fa intravedere un viaggio. Un film tecnicamente competente, pieno di mirabolanti effetti speciali cadrà presto nell’oblio; se trasmette emozioni la gratifica sarà di tutt’altro spessore e durata.

Journey non è spettacolare e  roboante come Transformers di Michael Bay.

Megan Fox china sul cofano dell’auto rende per me il film “Transformers” memorabile. Solo per questa scena.

Journey si avvicina a Qualcuno volo’ sul nido del cuculo di Milos Forman. Le interpretazioni di Jack Nicholson e Will Sampson, i loro personaggi e la storia mi accompagnano dai titoli di coda della mia prima visione ad oggi, mi hanno lasciato, non solo un segno indelebile nella memoria, ma hanno nutrito il mio pensiero e riscaldato il cuore. Alla fine, non ho smesso di pensarci, avvertivo le emozioni come la risacca si ritira dalla battigia per ritornarvi con rinnovata forza. Così alla fine di Journey, ho avvertito una persistenza di sensazioni e pensieri, una scia di echi. Come accade alla fine di un viaggio, anche tanto tempo dopo.

Due sconosciuti finiscono il loro viaggio, insieme

Onda sonora consigliata: tema musicale di Journey eseguito dall’Orchestra sinfonica macedone.

Tutta la colonna sonora di Journey con commento e immagini tratte dal volume The Art of Journey

Lettura consigliata: Viaggio con Charley (c) 1962  John Ernst Steinbeck

Film consigliato: Into the Wild (regia Sean Penn – Drammatico – durata 148 min. – USA 2007)

30 pensieri su “Life is (a) Journey

  1. Claudio

    Aricavolo! Tu non sei una videogiocatrice nè mai toccherai un joypad nemmanco con un bastone, epperò sei la dimostrazione che anche attraverso i videogiochi (alcuni di essi…ma ciò vale per il cinema, la letteratura, la musica) posso trasmettere emozioni e comunicare un pensiero. Un modo che mi viene naturale, tuttavia mi rimane la convinzione che resti a mio uso e abuso; il resto dei naviganti, che per avventura approdi a questo lido, sono convinto che si fermi alle prime tre righe e bolli il tutto come “ma è solo un videogioco”.
    Sei la dimostrazione che mi sbaglio. Sei la voglia a continuare. E’grazie a persone come te che la mia ispirazione trova alimento e slancio. I risultati possono variare…o avariare. Grazie, davvero.

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        1. ‘Azz! Questa tua ultima generosità che viene per giunta da un dichiarato “miscredente” del Videogioco mi gonfia di gioia come il padre che vide da lontano il figliol prodigo tornare..,,A parte l’accenno di megalomania, io mi sono sempre chiesto: ma il figliol prodigo dove è stato? Cosa ha fatto? Chi ha incontrato?
          Insomma io non gli avrei fatto toccare la grigliata di vitello, fino a che non svuotava il sacco dei suoi racconti di viaggio!
          Grazie compadre!

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  2. gelsobianco

    Musica bellissima bellissima.
    Sto ascoltandola ora.
    E’ già questa un viaggio importante per me.
    E poi so che verrà molto altro…

    A presto con nuove mie emozioni perché penso proprio che me ne sorgeranno molte molte… Te le dirò tutte.

    Grazie, Red
    gb

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  3. L’ho scoperto col Playstation Plus mesi fa e ne sono rimasto rapito (tanto da recensirlo al volo, cosa che non faccio per qualsiasi gioco su cui metto gli occhi).
    Per me è un capolavoro, da brividi.
    Nel mio “viaggio” ho incontrato altri ed è stato bellissimo aspettarli e venire aspettato mentre avanzavamo tra le dune o sotto una fitta coltre di neve. Ha un’impronta poetica straordinaria questo gioco.

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    1. Journey è veramente un’esperienza di “viaggio”. Inizia da solo, ma poi ti porta a conoscere altri viaggiatori “soli” come te. Non è un’unione di “solitudini” come spesso accade in molte modalità degli MMO, ma un vero viaggio condiviso con un altro compagno incontrato sulla “strada”.
      Purtroppo non è possibile scegliere il proprio compagno di viaggio (almeno sulla mia versione PS3), altrimenti ti proporrei di farci una “camminata” insieme 😉

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  4. Un gioco davvero molto bello… ne avrei voluto un po’ di più, soprattutto più visioni e murales, per sapere di più su quel mondo.
    E nella neve avrei voluto un compagno meno menefreghista, io a cantare per ricaricargli la sciarpa e lui – o lei – subito a volare via, lasciandomi a congelare e alla mercé di quelle creature che la sciarpa te la fanno a brandelli!
    Vabbè, succede… mi resta la sensazione di “fare surf” sulla sabbia, per sprofondare nel buio delle rovine, e quel volo che non mi bastava mai 😛

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    1. Purtroppo non è possibile scegliere il compagno di viaggio altrimenti ti avrei proposto un viaggio, anzi un Journey insieme, dall’inizio alla fine. Sia Flower sia Journey sono cosiddette “esperienze”, diverse per ogni giocatore, capaci di stimolare sensazioni diverse. Flower mi ha ispirato un racconto, che trovi tra queste pagine e una mia amica lo ha tradotto in inglese per me. L’ho inviato a thatgamecompany per ringraziarli e dirgli di continuare a fare giochi così arricchenti.
      Journey è un’esperienza straniante, il vero “open world”. La parte della neve è quasi commovente: ho trovato un compagno con cui ci siamo spinti spalla a spalla. Ogni tanto mi viene la voglia sia di surfare sulla sabbia o volteggiare nell’aria con una scia di petali solo per il gusto di farlo. Journey e Flower sono quello che definisco un “classico” intramontabile.

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