To the Moon. Un groppo alla gola per la commozione


Ve lo spiattello subito! Voglio raccontarvi di un videogioco. Sì, un “giochino”. Sì quel medium che è il fratello scemo del cinema, è il refugium peccatorum dei musicisti bocciati al Conservatorio o da una giuria selezionatissima di valletti e saltimbanchi di un X-Infartor a (dis)piacere, l’Ufficio del Collocamento di sceneggiatori e attori diplomati alla prestigiosa Scuola e Accademia d’Arte (davvero) drammatica “Fido, Armaduk e Rin Tin Tin”.

Bene, ora che ho dato soddisfazione al popolo degli Adulti e con molta probabilità si sono infrattati da qualche altra parte di Internet, posso liberamente sfogare la “nerditudine“. Anzi, no! Perchè sarebbe da “nerd” il volere condividere ciò che si pensa e si senta se l’origine è un videogioco?

Con questa ultima domanda retorica, mi sono sbarazzato degli ultimi trolleggianti casual “esperti” della Cultura Alta e, finalmente, posso raccontare questa bella storia di To The Moon a voi interrnauti, incauti surfisti di Google, che vi ha sospinto su questo arenile in seguito a una ricerca naufragata. E con quest’ultima pippa, credo proprio di essere rimasto solo.

Se non amate i videogiochi, allora dovreste davvero continuare a leggere: una storia intensa, toccante, scritta e raccontata meravigliosamente, vi prenderà per mano, letteralmente con il mouse e la tastiera…fino alla Luna.

To the Moon non è videogioco. 

To The Moon utilizza il medium “videogioco”, ne dà un’interpretazione estetica come un gioco di ruolo di nipponica 16 bittiana memoria (Super Nintendo, 1990-1999), ne semplifica all’osso l’interattività e mette al centro del vostro cuore-viscere-e-cervello una storia che racconta della vita e della morte, racconta dell’amore, del dolore, della compassione, dell’esperienza del vivere sinceramente, con il fardello della memoria dei momenti peggiori e l’abbraccio confortante dei ricordi dei momenti più belli.

To the Moon è un videogioco che, senza grafica spettacolare in alta risoluzione e audio roboante in Dolby Surround, ti fa fermare, guardarti indietro e riflettere su cosa è veramente importante.

il Dalai Lama ha ragione da vendere quando si sorprende di noi occidentali: “Vivono come se non dovessero morire mai”.

Compro videogiochi nell’ossessione compulsiva (e dannatamente consumistica) di provarne il maggiore numero possibile, sembro un fottuto sommelier che assaggia tutti i vini vinificati del Pianeta, fottuto dai fumi, altrettanto inebrianti dell’alcol, dell’illusione di goderseli tutti, un giorno o l’altro, seppure nella razionale consapevolezza che il tempo da dedicare a questa passione tende asintoticamente all’ascissa del Tempo della Vita Reale. Poi t’imbatti in un titolo che ispira, un’immagine evocativa, un vociare emozionato ed emozionante di forum e blog, un prezzo rispettoso del valore dei soldi, sudati. Allora ti fermi, ti giri indietro e…si squarcia il Velo del Tempio di Gerusalemme!

Ti accorgi di cosa è importante per realizzare un prodotto a regola d’arte, scevro di orpelli, sincero, anche nel prezzo. Poi, inizia il racconto di John, vecchio e malato, cui resta poco da vivere, meno di cinque ore del nostro tempo (reale), un paio di giorni del tempo di gioco, e gli resta un desiderio che vorrebbe esaudire prima di trapassare nell’Al-di-là virtuale per noi, reale per lui. L’ultimo desiderio di John è: andare sulla Luna.

Si può fare.

John…ci prenderemo cura di te, John. Non ti preoccupare. Ci siamo noi qui…fuori dallo schermo.

Si può fare. Esiste un’Agenzia specializzata nel dare alle persone in fin di vita la possibilità di realizzare il loro ultimo desiderio, o meglio, di renderlo possibile nelle loro menti, nella loro memoria, come il ricordo di un’esperienza realmente vissuta. Per fare ciò, grazie a una macchina e a un caschetto di Realtà Aumentata, gli scienziati ripercorrono i ricordi del committente a ritroso nel tempo per innestare IL ricordo di essere stato davvero sulla Luna. Si può fare…si fa presto a dire “si può fare”, ma se per questo popò di servizio finiamo per lasciare un bel mutuo sulle teste della schiatta degli eredi?! Tranquilli, braccine corte che vi ritrovate, il costo è abbordabile: scarsi nove euro e, se cogliete qualche promozione speciale, anche meno della metà.

Così avviene che John contatti quest’Agenzia e vengano a bussare alla sua porta una coppia di scienziati, il Dottor Wyatt e la Dottoressa Rosalene, due “sagome” che seguono i vostri comandi. “Sagome” in quanto espressioni del vostro alter ego di cui si distinguono i contorni nella nebbia dell’universo virtuale, “sagome” in quanto personaggi originali, per certi versi stravaganti, che si fanno anche delle battutine come tra vecchi amici che si rispettano e si vogliono bene anche nei momenti di contrasto e dissenso. Durante la storia apprezzerete le loro sfumature caratteriali, alla fine vi affezionerete a questi due sgorbietti di pixel.

Conigli di carta dappertutto. Escono dalle fottute pareti.

Il vostro compito è guidarli attraverso i ricordi di John: dovrete andare a ritroso negli strati di ricordi di John fino alla sua infanzia per trovare il momento giusto in cui innestare il nuovo ricordo-desiderio. Nel gioco ciò si traduce nel trovare cinque oggetti speciali in ogni strato di memoria, esplorando lo scenario e parlando con altri personaggi. Trovati i cinque oggetti, si potrà accedere a un sesto, altrimenti bloccato, risolvere un semplice puzzle e accedere al precedente strato di ricordi. Alcuni ricordi saranno piacevoli, come il momento del primo incontro con River, la sua amatissima moglie, purtroppo già defunta. Altri ricordi trasmetteranno inquietudine e turbamento, come quando a tavola con una coppia di amici, John confessa un dissapore nei confronti della moglie e di non condividere certe sue scelte.

John e sua moglie River. River ama questo faro in modo molto particolare.

Ebbene, questa piccola storia, presentata in una veste – che in altri ambienti culturali – definirebbero bonariamente “vintage”, ma che nello spietato business dei videogiochi è considerata “obsoleta”, non si cura di alta risoluzione, foto-realismo, effetti particellari e menate tecnologiche assortite, se ne sbatte di offrire la “libertà” di interazione dei sandbox à la GTA e si guarda bene dal proporre una pluralità di scelte “morali” con tanto di finali multipli in voga nel genere “action-adventure” e “role-play” alla disperata ricerca di aggiungere contenuti e varietà a meccanismi triti e ritriti.

To the Moon ti sbatte in faccia la linearità della sua storia, non modificabile, un’interazione alquanto ridotta, un’esplorazione guidata per mano, un livello di sfida accessibile anche a chi non ha mai toccato un videogioco, nemmeno da lontano con un bastone. Contravvenendo a ogni cliché del moderno videogioco e videogiocatore, riesce a generare un miracolo: una fluidità nella narrazione comparabile a un  bel libro, quel libro che avete iniziato a leggere e non siete riusciti a staccarvene fino alla quarta di copertina. Avete presente la sindrome del “finisco questo capitolo e poi smetto” e, invece, riattacchi con quello subito dopo? To the Moon produce lo stesso effetto, non “tossico” ma fortemente “dipendente”.

Proprio a causa di una realizzazione tecnica alla portata di un Super Nintendo o Mega Drive negli anni ’90, a livello di sforzo di immaginazione e di empatia To the Moon è più vicino a un libro piuttosto che a un videogioco, Ventidue anni in termini tecnologici e videoludici sono comparabili a un’Era geologica. Il nostro cervello, impigrito dall’utilizzo della comoda e più rapida tecnologia – chi di noi si ricorda a memoria i numeri di telefono? Chi sa fare i conti a mente? – deve impegnarsi in uno sforzo cui non è abituato: creare un simulacro stimolante, coerente, ammaliante, irresistibile, contando su una base alquanto spartana. In pratica, dobbiamo metterci del “nostro”, diventiamo “giocatori” davvero attivi perché dobbiamo mettere in gioco una parte di noi, emotiva o razionale, istintiva o consapevole, manifesta o inconfessabile.

Nel viaggio a ritroso nelle memorie di John, si impara sempre di più della sua vita, si partecipa alle sue scelte, ci spingiamo anche oltre quando, colti di sorpresa dall’inconscio che affiora, ci accorgiamo che stiamo pensando a cosa avrebbe potuto fare John per evitare un dato evento o cosa sarebbe successo se avesse preso una decisione diversa in una data circostanza. Quando incontriamo John la prima volta è una persona anziana immobile e silenziosa nel suo letto, un mucchietto di pixel inanimati con cui non potere interagire: potremo facilmente considerarlo alla stregua di “tappezzeria” dello scenario. Via via che si viene a conoscenza della sua vita, John si rivelerà come il vero protagonista della storia, il punto centrale dei nostri pensieri, emozioni e immaginazione, un essere umano dalla personalità complessa e con tante sfumature che ci coinvolgerà fino a commuoverci in un finale davvero memorabile, scevro di ogni facile e ruffiana retorica cui invece molta cinematografia ci ha abituato.

Alla fine, durante i titoli di coda, mi sono ritrovato assorto pensando a John come se l’avessi veramente conosciuto nella vita reale. E subito mi ha assalito la sensazione, tra la tristezza e la malinconia, di non averlo conosciuto nella vita reale.

Menzione d’onore alla colonna sonora. La colonna sonora è portentosa: evocativa, toccante, rilassante, malinconica, struggente. Non è un semplice riempitivo, un sottofondo articolato in una manciata di “musichette” buttate nel mezzo del codice di programmazione. La colonna sonora accompagna le emozioni, sostiene la storia, contribuisce alla coerenza e alla verosimiglianza della storia. La musica muove emozioni e sentimenti, riesce a trasmettere a un livello subconscio ciò che gli autori raccontano attraverso testi e immagini alla nostra parte razionale. Composta per la maggior parte da Kan R. Gao, direttore e sceneggiatore del videogioco, a eccezione di alcune tracce, opera di Laura Shigihara, che canta in ‘Everything’s Alright‘ e Trailer Theme – Part 2, la colonna sonora è mix riuscito di variazioni del tema principale e musiche che sottolineano alcuni momenti specifici. Considerato come album musicale a sé stante, un giudizio così smaccatamente entusiasta può essere ridimensionato, ma è e resta un’opera musicale ben composta e ben eseguita, che ispira, solleva e rilassa con i suoni predominanti di pianoforte e archi.

Se giocate o avete giocato To The Moon, è LA perfezione musicale, imprescindibilmente parte attiva della storia, catalizzatrice di una reazione a catena di emozioni altrimenti difficili da provare attraverso la sola mediazione interattiva del videogioco. To The Moon OST è disponibile in vendita a 5 dollari (circa €.4,00) via download in vari formati audio (mp3 320, flac e molti altri) sul sito degli autori del videogioco, Freebird Games. Prima di acquistare, potete ascoltare per intero tutte e 31 le tracce in streaming. Il 50% del prezzo di vendita viene devoluto come aiuto alla riabilitazione di persone affette da autismo…e giocando capirete che questa scelta non è casuale.

[update 28 gennaio 2014] Con un accenno all’autismo terminavo questo post e qualche anno dopo inizio proprio dall’autismo. Ciò che avevo notato superficialmente, è invece descritto dettagliatamente da Shiki nella sua esperienza raccontata in To the Moon & la Sindrome di Asperger.

Leggendo quanto e come ha scritto Shiki, mi sono accorto di quanto superficialmente avevo considerato questa ulteriore lettura. To the Moon ne propone tante invero, ma lasciarsi indietro quella della Sindrome di Asperger significa non rendere onore all’autore e perdere un tassello importante. Faccio pubblica ammenda e ringrazio Shiki per avermi dato la possibilità di ritornarci su e riparare a un peccato di superficialità.

Nella narrazione e nell’esperienza di gioco, quasi non ti accorgi che un personaggio è affetto da tale sindrome o, meglio, non gli dai importanza: non è uno “strano”, non è uno da guardare con curiosità, sospetto o addirittura timore. La sindrome non è una scorciatoia per l’autore per arruffianarsi l’empatia del giocatore, è solo una caratteristica del personaggio che gioca nella storia un ruolo, che lo rende più…”umano”, non è lo stereotipato super-eroe che salva gli indifesi dall’oppressore in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutti i mondi in tutte le galassie. Shiki ne parla con altrettanta naturalezza, infonde l’unica curiosità legittima e cioè quella di colmare una lacuna conoscitiva ed emotiva. Rimando al suo post, che contiene i link per sperimentare, conoscere e approfondire: To the Moon & la Sindrome di Asperger.

ONDA SONORA CONSIGLIATA: To the Moon – Tema principale

To the Moon OSTColonna sonora (vari formati digitali) in vendita presso:gli autori Freebird Games e il portale di digital delivery Steam
Videogame per PC-Windows XP/ Vista/ 7 in vendita presso gli autori Freebird Games e i principali portali di digital delivery Steam, GOG, Desura. Il download è circa 70 MB.
Attenzione: è disponibile in lingua inglese, cinese francese, tedesco, russo, spagnolo, MA NON in italiano.

20 pensieri su “To the Moon. Un groppo alla gola per la commozione

    1. Grazie per l’apprezzamento, ma un grazie va anche a te e allo scambio di commenti nelle nostre webbettole, che poi mi è venuto di riprendere l’argomento. Bando ai salamelecchi 😉 , rispondo al tuo quesito:
      I “serious game” seguono raramente la distrubuzione tradizionale (negozi specializzati o grandi catene dell’elettronica di consumo). La digital delivery ha dato senz’altro una grossa mano, sia alla distribuzione sia al loro sviluppo, esattamente in quest’ordine poiché senza la distribuzione, niente soldi per svilupparli o svilupparne un secondo.
      In merito alle risorse economiche, la situaizone è articolata:
      alcuni sono sponsorizzati da enti od organizzazioni, come il citato Food Force che è stato pubblicato per il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite; i militari (USA e UK, sopratutto) ne fanno normalmente uso come simulazioni e modello di propaganda/reclutamento; in passato, quando l’edutainment era di moda, aziende importanti come la Sierra sviluppava diversi giochi educativi (The Incredible Machine e la serie Dr. Brain) e Broderbund ci costruì una fortuna su “Where in the World Is Carmen Sandiego?”. Alla fine degli anni ’90, Sega con The Typing of the Dead riscosse un discreto successo. Oggi, sono cambiati anche i modelli pedagogici, l’edutainment è praticamente morto.
      To the Moon è un titolo “indie”, sviluppato da un team molto ridotto, 4 persone (come accadeva ai tempi del Commodore 64 e anche Amiga), con risorse proprie o raccolte attraverso il crowdfunding come Kickstarter.

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            1. Jane McGonigal non è esattamene una “indie”. Per “indie” (abbreviazione di “independent”) si intende un team di sviluppo, molto ridotto come numero di persone, che dà la priorità alle proprie scelte creative. Per tale motivo, spesso il videogioco “indie” non ha un Editore, che se ne prende in carico la distribuzione e la promozione, ma basa la sua vendita sulla digital delivery sui propri siti e sulle piattaforme più diffuse (Steam, Gog, Desura). Vi sono tuttavia casi di sviluppatori “indie” che hanno un contratto con un Editore: Thatgamecompany ha Sony come Editore (vedi la recensione di Journey).
              Ciò premesso, Jane McGonigal è una game designer, una scrittrice e, attualmente, Direttore Creativo di G4C (Game for Change), un’associazione nonprofit, che promuove lo sviluppo e la distribuzione di videogiochi con un impatto sociale, come strumenti essenziali a fini educativi, di formazione ed umanitari. Tra i giochi sviluppati dalla McGonigal uno dei più noti è “World Without Oil”. E’ impegnata nel design di videogiochi che siano utili nella vita reale o che possano rendere migliori alcuni aspetti della vita reale. E’ sicuramente una delle donne più in vista nel panorama videoludico, anche se non stiamo parlando dello sviluppo e business di Call of Duty, Halo, GTA.

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    1. Mi rendi felice! L’ammissione di pregiudizi e la possibilità che vi sia uno spazio a un’apertura è per me la più grande gratifica di tutto lo sbattimento di tastiera che vedi nell’apposita rubrichette il Pixel Quotidiano e Videogiochi.
      E mi sono sbattuto parecchio 😉
      Veniamo alla tua domanda: come rispondevo a tiZ da qualche altra parte che mi chiedeva lumi sull’età consigliata, To the Moon non contiene scene violente o linguaggio esplicito, ma – come il PEGI consiglia l’età a partire da 12 anni – tratta di temi maturi per un pubblico adulto. Non che non sia adatto ai minori, è soggettiva anche l’età consigliata dal PEGI, ma andrebbe prima giocato da una adulto o giocato insieme a un adulto.
      In effetti, potrebbe trarre in inganno a causa della grafica che oggi risulta elementare (ma all’epoca dei 16 bit era da lasciarti la mascella spalancata). E’ un discorso più ampio che investe anche il significato diverso che in Occidente diamo al “cartone animato” e quello che vi danno in Giappone. Come scrivevo a tiZ, fai vedere “La Tomba delle Lucciole” a un bambino di 5 anni e ti mando gli assistenti sociali a casa, non perché contenga scene di sesso o truculente, ma perché parla della solitudine di rimanere orfani in guerra. Un bambino ne soffrirebbe, eppure è per noi un…”cartone animato”, quindi roba per “bambini” o “bambinoni”.
      Ritornando a To The Moon, io ho 48 anni e l’ho giocato qualche anno fa. E’ un capolavoro, se si ha la sensibilità del medium, questo è innegabile. Un adolescente di oggi non lo toccherebbe nemmeno con un bastone da lontano e, con tutta probabilità, lo troverebbe noioso data la limitata interattività. To The Moon lo definisco un videogioco “fertile”, nel senso che ti fa fermare a riflettere, pensare ed elaborare anche inconsapevolmente. Visto che non sei avvezza ai videogiochi, te lo rendo vado di metafora: prendi l’ultimo film che ti ha commosso, da cui sei uscita solo dopo che l’ultimo titolo di coda è sparito e ci sei rimasta altri attimi imbambolata a fissare lo schermo, fino a quando non è entrato l’inserviente a ripulire la sala tra uno spettacolo e l’altro. Esci dalla sala che ancora di rimbombano pensieri accavallati, ma una certezza ce l’hai: ti senti che alla fine, sei più ricca…anche fosse di una sola emozione.
      To The Moon mi ha fatto quest’effetto.
      Grazie ancora e, nel caso, dovessi giocarlo, batti un colpo qui, sia che mi venga a porgere un fiore sia che tu voglia sferrarmi un colpo di mazza ferrata.

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  1. gelsobianco

    Mi stai aprendo un mondo, Red.
    Io so pochissimo sui videogiochi. Troppo poco evidentemente.
    So però che quello che tu hai scritto mi ha commosso molto.
    E poi c’è la musica… una musica che ti volare via… fino ala luna.
    “…una seconda possibilità”, una grandissima possibilità, quella di provare nuove emozioni mi stai dando.
    Grazie, Red.
    🙂
    gb

    E leggerò con calma “To the Moon & la Sindrome di Asperger.”

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    1. Videogiochi come questi che puntano a suscitare emozioni o esperienze piuttosto che azione adrenalina sono sempre più frequenti, prova che il medium ormai largamente diffuso (ma non altrettanto accettato) sta evolvendo, anche perché la platea è anche adulta, non relegata ai bambini e agli adolescenti. Tra queste pagine ne parlo, la miscelo ad altri argomenti, cerco di trasmettere la mia passione e ciò che io sento e sperimento. Non troverai mai una recensione, diciamo, tecnica. E quando un lettore che non ha mai toccato un videogioco nemmeno da lontano con un bastone legge e fa un bel commento come il tuo, mi gonfio di soddisfazione.
      Bene, ne avrei un altro da consigliati sul tema “viaggiare”, dimmi tu quando sei pronta e se ti va, che ti soffio un link in poppa 😉

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  2. rikynova83

    Una bellissima recensione. Mi hai trasmesso quelle sensazioni che hai provato nel giocarci, ho provato emozione anche io 🙂 Un videogioco molto interessante, fosse stato in italiano l’avrei addirittura comprato: sarei curioso anche io di conoscere la vita di questo personaggio (leggendo mi è venuto in mente l’inflazionato Up).

    Ma come finisce il gioco? 🙂 devo assolutamente chiederti lo spoiler.

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    1. Purtroppo non è mai stato tradotto in italiano e la dice lunga di quanta strada ancora dobbiamo fare nel nostro Paese nei confronti dell’accettazione del videogioco come medium arricchente. Oltre alla lingua inglese, è disponibile in tedesco, spagnolo, francese, ma pure in portoghese, polacco, slovacco e russo. Credo che siano traduzione della comunità che si è messa a disposizione dell’autore perché dubito che abbia avuto le risorse economiche per pagare un adattamento per ognuna di queste lingue. Non è eccessivamente complesso, ma per capirne le sfumature è necessaria una certa dimestichezza con l’inglese.
      Il vecchietto di Up è decisamente più arzillo e il bimbo che lo accompagna rende più leggero il tono altrimenti molto malinconico. I due dottori si scambiano delle battute e ci sono alcuni “siparietti” che alleggeriscono anche qui i toni.

      SPOILER ALERT- SPOILER ALERT- NON LEGGETE OLTRE -SI SVELA IL FINALE

      Visto che lo chiedi ti racconto il finale:
      Johnny muore e il suo sogno di andare sulla Luna con la moglie si “avvera”.
      Gli ultimi momenti di Johnny sono scanditi dal “bip” del monitoraggio dei parametri vitali montati in un modo strepitoso e commovente.
      Ti lascio il link al video che inizia dalle ultime battute per capire meglio cosa intendo e per gustarti tutta la tenerezza e il senso di compimento (più di quello della fine di una vita) che l’autore riesce a trasmettere con dei semplici “sprite”. Nota il momento in cui Johnny e la moglie seduti accanto sullo shuttle in viaggio per la Luna si danno la mano. Poesia pura.
      Il video è significativo anche perché dopo i titoli di coda c’è un’ultima scena che uno scambio finale di battute tra i due dottori in un luogo-chiave per Johnny e la moglie (un faro). Il dottor Wyatt rimane solo e avverte uno strano “segnale”. Il gioco finisce così con la scritta: To The Moon Episode I. L’episodio II è Finding Paradise e finalmente è pronto per essere “vissuto”.
      Ecco il link:

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  3. Complimenti per la recensione!
    Una delle cose che più mi ha sconvolto (oltre a tutto To The Moon, ovviamente) è stato scoprire che è frutto, in pratica, del lavoro di un’unica persona. Nell’era dei titoli tripla AAA, delle micro-transazioni, dei team composti da centinaia di persone, questo signore ha tirato fuori dal cilindro una magia con rpg maker (sul quale anche io ci ho lavoricchiato, non certo con il suo puro talento narrativo e musicale).
    Gli ho dedicato una recensione (https://nerdsaraitu.wordpress.com/2016/06/29/to-the-moon-ricordando-la-luna/), mi piacerebbe sentire il parere di chi ci ha giocato (anzi chi ha vissuto questa esperienza, “giocare” sembra quasi riduttivo).
    Tra le altre cose, a volte bazzicando su Youtube mi imbatto nei video di reactions di giocatori su To The Moon che scoppiano in lacrime ed è bellissimo vedere come questo gioiello faccia lo stesso effetto su persone di altri paesi, con età differenti, magari con gusti videoludici totalmente diversi dai nostri. Eppure To The Moon colpisce nel segno. Qualcosa vorrà dire.

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    1. Questo è un “indie” genuino. Ormai si spaccia per “indie” anche un No Man’s Sky quando è prodotto e promosso con tanto di hype alle stelle da Sony. In quanto “genuino”, arriva subito a chi ne fa esperienza (sì, giocare è riduttivo e forse anche sbagliato in senso stretto, visto che l’interazione è poca cosa).
      Ho letto di gusto la tua recensione, davvero bella e completa. Chiaramente ti ho lasciato il mio contributo, che come avrai ormai capito non è laconico. Spero di non risultare invadente.

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      1. La cosa simpatica di scovare queste perle rare nello stesso panorama indie (non tutti gli indie ovviamente sono capolavoro come non tutti i tripla A sono roba solo commerciale) è quella di divenire ambasciatori della diffusione di questi giochi (che spesso come giustamente mi hai fatto notare sono visti come prodotti di nicchia, d’elite). A chiunque abbia una ps4 ho consigliato “Prova Journey e poi fammi sapere”.

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        1. Journey ha un approccio inizialmente “complicato”: sei davvero perso, sperduto e non hai riferimenti (magistrale da parte degli autori). Tutorial pari a zero, indicazioni di obiettivi pari a zero, devi trovarlo. Devi trovare il tuo “viaggio”. Insomma è un bel balzo se consideri le due principali modalità narrative: linearità della storia (in un tunnel di eventi concatenati) oppure la (finta) libertà dell’open world (con un’esplosione a frammentazione di obiettivi).

          Provo a rilanciare: e Flower? Ho messo nelle mani di gente che non toccherebbe un videogioco da lontano con un bastone e gli ho detto: “tu sei il vento”. A parte i primi momenti di sbandamento, la loro espressione era di “spaesamento con serenità”, manifestato con un’espressione di cauta meraviglia (“non sia mai scoprissi che mi piacciono ‘sti giochini”) e mani saldamente aggrappate al joypad. Il videogioco può dare delle sensazioni uniche, anche se sono più le volte che mi ritrovo a predicare nel deserto.

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